Sandor Marai, geniale scrittore ungherese (ah, “Le Braci” che bel romanzo: lo raccomando al mio amico Dario, lui capirà il perchè...), lasciò le povertà di una esistenza terrena, senza un apparente motivo.
Le persone come loro, instancabili ricettori di ciò che accade nell'Universo, sono colpite più facilmente di altri da solitudine, stanchezza e malcreanze altrui. Cercano nel prossimo interlocutori per dividere le tante – troppe – cose che hanno capito, ma raramente riescono a trovarli. Allora subentra il vuoto, quel male sottile che nessuna medicina può curare.
Dicono gli amici di Monicelli che i troppi ricoveri in ospedale e la prospettiva di una inevitabile non-autosufficenza, gli abbiano inflitto profonde ferite morali.
Penso che la troppa intelligenza sia una iattura, uno zaino pesante che nessuna schiena può trasportare per troppi anni. E se è vero quello che immagino della loro fine – di Monicelli e Marai – allora è altrettanto vero che la stupidità del mondo sia il quotidiano scandalo che loro hanno deciso di abbandonare e di denunciare.
Sarebbe già molto se noi, per cercare di essere loro vicini e evitare altre tragedie, imparassimo a dirla e scriverla questa criminale stupidità che ci accompagna ogni singolo giorno, in ogni singola azione, in tutto quello che diciamo e scriviamo. E questo non basta: dobbiamo denunciare la stupidità con minore distrazione, conformismo, pressapochismo. Non dare scampo né giustificazioni alla stupidità.
È un modo per sollevare queste menti eccelse dal peso che, da soli, faticano a sopportare.