Pur di non accettare ciò che ognuno intimamente è, siamo disposti a berci tutto quello che sembra allontanarci da noi stessi. E’ il frutto avvelenato di ogni societas “progredita”: il “de-vertimento” pascaliano ha ormai assunto forme ed automatismi insperati persino per l’originale, tant’è che, potremmo forse azzardare, esso è probabilmente oggi il principio da cui si dipana ogni libertà convenuta, quella che non implica mai un impegno “in prima persona”.Anche il diverso è diventato così solo un’altra modalità di concepire il de-vertimento; l’ennesimo ri-medio per poter fuggire da quella zavorra che per taluni coincide con la stessa individualità; il bisogno mai completamente sopito di occultare ciò che è singolo nel grigiore accondiscendente del belante “noi”.
La miseria che trova il proprio sfogo nella volontà di normalizzare ciò che vive una vita “singolare” non è quindi altro che l’atavica paura di riscoprirsi individui autonomi. La stessa mortale pulsione che spinge quell’uomo a volgersi lontano da sé per trovare sicure dipendenze e nuovi idola a cui placidamente sottoporsi. Eppure, paradossalmente, questa “democratica” società di autonomi “indistinti” è anche una delle società più totalitarie ed intolleranti che l’umanità abbia sinora conosciuto (è però una tolleranza illuminista, positiva, voltaireiana, uni-versale: quella dei Candide il cui ottimismo verso il prossimo è direttamente proporzionale alla paura che hanno di esso; quella stessa portata sulla punta delle baionette dal generale Napoleone; quella della mondializzazione e della globalizzazione sua ancella. Del “pensiero unico”. Della democrazia totalitaria illuminista-bushiana. La medesima democrazia in cui però non v’è posto per i valori diversi dai suoi). Come la Nubicuculia di aristofanea memoria, quella stessa uguaglianza, rendendo ogni uomo indifferente, ha però prodotto di risulta una vertiginosa paura per tutto ciò che ancora vive con specificità. Essa insomma, favorendo l’omogeneo e l’irrilevante, sembra incoraggiare in qualche modo la stessa idea di intolleranza. Non c’è bisogno di avere la pelle di un altro colore, né tantomeno di professare un “credo” diverso dalla maggioranza, o ancora avere usi, costumi e tradizioni difformi da quelli ortodossi comunemente accettati. Con buona pace della Costituzione più “bella del mondo”, sarà sufficiente non riconoscersi nei valori che la consuetudine, l’abitudine, e la “regola morale” hanno belluinamente reificato, per inciampare nella de-nigrazione della doxa ed essere poi ipocritamente “invitati” ad allontanarsi in una qualche nuova “riserva indiana” (l’adagio popolare “occhio non vede cuore non duole” ne certifica lo scopo: allontanare per non vedere e credere così, stupidamente, di aver risolto una problematicità, di essersi finalmente sbarazzati di una potenziale minaccia verso le proprie beate sonnolenze). L’albatros di baudelaireiana memoria, quello schernito per le proprie “specificità”, non pare aver fatto molta strada da quel vascello!