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L’Invasione degli Ultracorpi: Fantascienza Cult

Creato il 12 marzo 2012 da Dietrolequinte @DlqMagazine
Postato il marzo 12, 2012 | CINEMA | Autore: Salvo Ricceri

L’Invasione degli Ultracorpi: Fantascienza CultQuale sublime senso di soddisfazione può assalirci se pescando a casaccio tra scatoloni imballati e cianfrusaglie ci capita tra le mani la versione DVD di un gran bel film, magari in una lunga giornata di reclusione domestica causa piogge torrenziali. Mi succede con questa pellicola del 1956, reperto sacro e sbiadito di quella sognante epoca in cui gli horror riuscivano a contagiare vera paura e sconcertante angoscia senza ricorrere necessariamente ad esosi budget e faraonici effetti visivi come capita nei lungometraggi odierni (che ultimamente, a corto di idee e credibilità, si spostano a passo sempre più affrettato verso il mockumentary di cui “The Blair Witch Project” fu l’antesignano). Dimenticate gli splatter-movie della buona tradizione pulp, le abominevoli bio-mutazioni o le sconfinate legioni di non-morti che negli ultimi anni si sono visti trasformare in icone glamour (in alcune pellicole possiamo intravedere zombie truccati meglio di Madonna): “L’invasione degli ultracorpi” (per la regia di Don Siegel) è profondo nella sua disarmante semplicità, spigoloso ed arguto nonostante l’apparente e rassicurante “normalità” degli ambienti scenografici, degli attori utilizzati e dei pretesti narrativi.

L’Invasione degli Ultracorpi: Fantascienza Cult

La cittadina di Santa Mira si presta ad incarnare ogni idea che possiamo farci dei ruggenti anni ’50 made in U.S.A.: la terrazza sul cielo, le Cadillac, il buon dopobarba, villette patronali con giardino annesso, prati verdi e ben curati, strade ordinate, simpatiche mogli bionde e prosperosamente belle, insomma, tutto quello che aveva da offrire in quegli anni lo sfolgorante “sogno americano”. Ma a guastare la festa ci pensano degli stranissimi e sinistri segnali che il dottor Miles Bennell (Kevin McCarthy), in un primo momento non riesce o magari non prova ad interpretare: il piccolo Jimmy urla e si dimena affermando che la donna che lo aspetta in casa non è la sua vera madre, Wilma sostiene che il vecchio zio Ira, nonostante all’occhio comune sia la stessa persona del giorno precedente, ha in se qualcosa che lo rende estraneo, sconosciuto, in un certo senso “alieno”.

L’Invasione degli Ultracorpi: Fantascienza Cult

Quelle che in un primo momento vengono classificate come singole manifestazioni di crolli nervosi o deviazioni paranoidi diventano di colpo casi clinici tanto numerosi da far pensare ad una epidemia di psicosi collettiva, e non si fa nemmeno in tempo a risalire alle cause che in una manciata di fotogrammi il dr. Bennell si ritrova in casa dell’amico, lo scrittore Jack Belicec (King Donovan), davanti al cadavere di un uomo completamente privo di abiti ed impronte digitali ma che ha le sembianze ed i caratteri somatici del tutto identici a quelli dello stesso Jack. In una rocambolesca corsa contro il tempo i protagonisti si trovano a dover fronteggiare una invasione in piena regola, attuata da strani baccelli che contengono al loro interno copie speculari dei cittadini locali: basta chiudere gli occhi ed addormentarsi affinché ogni “copia” assorba i ricordi ed il pensiero dell’originale, sbucando fuori dagli enormi semi e sostituendo pian piano ogni singolo abitante sia nella forma che nelle abitudini, eccetto che per le emozioni, totalmente assenti negli automi invasori.

L’Invasione degli Ultracorpi: Fantascienza Cult

Il lungometraggio, che nel corso del tempo è stato puntualmente sottoposto ad interpretazioni politiche di ogni forma e genere (la più gettonata è quella che lo vede come rappresentazione della paura maccartista relativa all’infiltrazione del pensiero comunista all’interno dell’establishment statunitense, durante la Guerra Fredda), è a mio parere una parabola sociale che narra di quanto strisciante possa diventare il “sospetto“ verso il nuovo o il diverso in un contesto dove gli elementi comuni e quotidiani vengono ridiscussi (l’uomo che mi siede davanti sarà uno di loro o uno di noi?), ed illustra tramite l’espediente della “sostituzione” (in questo caso dell’individuo con un automa del tutto simile ma privo di qualsivoglia emozione) la decadenza a cui porta un accanito perseguimento del benessere superfluo: alla fine l’intera cittadina sarà abitata da invasori del tutto identici che continueranno a svolgere le normali azioni quotidiane, ma grottescamente spersonalizzati, alla stregua di manichini da negozio di abbigliamento.

L’Invasione degli Ultracorpi: Fantascienza Cult

Emblematica una delle frasi del film: «Capita ad ogni persona di perdere la propria umanità senza accorgersene, ma non così velocemente, dalla sera alla mattina». Qui risiede il perno della rappresentazione, il fulcro del messaggio propinato dall’opera, la tacita ammissione che il vero terrore non si cela nelle lame di Freddy Krueger o dietro la porta del Texas Chainsaw Massacre, ma nella tranquilla ed ordinata alienazione della borghesia suburbana. Un horror psichico che colpisce l’anima anziché lo stomaco, che somministra inquietudine senza aver bisogno di mostrare le sue orride viscere. Non cercate di resistere, prima o poi dovrete addormentarvi.

L’Invasione degli Ultracorpi: Fantascienza Cult



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