Anno: 2012
Nazionalità: Svezia
Durata: 121′
Genere: Drammatico/Thriller
Distribuzione: BIM distribuzione
Regia: Lasse Hallström
Uscita: 11 aprile 2013
“Ho sempre voluto cimentarmi con il genere thriller, ma non si sono presentate per me molte opportunità per poterlo realizzare negli Stati Uniti. Non era quello che la gente si aspettava da me, quindi non sono mai stato considerato per questo genere”. Commenta e rivendica così, il regista svedese Lasse Hallström, nel presentare il suo nuovo film: L’ipnotista. A volte, però, quello per cui si ha davvero predisposizione e che sta davanti ai nostri occhi viene negato per dare spazio a qualcosa di nuovo che non si dimostra all’altezza delle aspettative. É assolutamente un pregiudizio reputare di livello superiore un film di genere thriller rispetto a una commedia leggera o un film sentimentale con cui il regista si è cimentato più volte, anzi, esclusivamente fino a questo momento (ricordiamo Chocolat e Hachiko: A Dog’s Story). L’essenziale è…l’essenziale. Ovvero la qualità complessiva dell’Opera, la sua sostanza, il suo senso profondo e il segno che lascia nella storia del cinema e dentro di noi. In questo caso, non vi è stato nulla di tutto ciò, purtroppo. Troppo fumo intorno all’uscita del libro da cui è tratto il film, troppo inutile mistero riguardo al suo/suoi autori, pochissima umiltà da parte di (quasi) tutto il cast tecnico e artistico adoperatosi per questa operazione, soprattutto nel continuo confronto con l’autore della trilogia Millennium, Stieg Larsson (riportata sul grande schermo dal danese Niels Arden Oplev, con un’eccezionale Noomi Rapace, poi seguito dall’inopportuno remake di Fincher). Paragone assolutamente fuori luogo, che non ha nulla a che vedere, neanche per un grammo, rispetto all’imponente contenuto, dai risvolti sociali, psicologici, dalla complessa struttura narrativa di Larsson. La storia de “L’ipnotista” non possiede nessun presupposto per poter Essere. Fin dall’inizio le dinamiche tra i personaggi sono semplicemente sbagliate, i momenti di suspance decisamente “citofonati” e non c’è alcuna motivazione nel voler appassionarsi alle vicende narrate. Anche durante lo scorrere del film, pigro e banale, si discute continuamente di cosa sia successo in una scena precedente, come se si volesse spiegare allo spettatore cosa sta accadendo. In realtà c’è davvero pochissimo da capire, interpretare, snodare. E di certo, queste, non sono le caratteristiche ideali per la rappresentazione di un poliziesco o un thriller. Per non parlare dell’argomento ipnosi (che sembrerebbe centrale a detta del titolo): trattato in una maniera a dir poco superficiale, come se non ci fosse stata alcun tipo di consulenza scientifica alla base. Un ragazzo in stato di shock per aver assistito alla carneficina della sua famiglia, un ispettore (Tobias Zilliacus nei panni di Joona Linna, che ritroveremo ancora in successivi 8 romanzi e forse anche altrettanti film…) che indaga sugli omicidi aiutato da tale Erik (l’ipnotista, interpretato dall’affascinante ed enigmatico Mikael Persbrandt), che appare senza troppe introduzioni, come se fosse un elemento/personaggio di routine. Non aiuta l’ambientazione invernale di una gelida Stoccolma, pochi i momenti in cui ci si accorge che si sta assistendo a qualcosa di misterioso o per lo meno interessante o suggestivo. Ma c’è un grosso spunto su cui riflettere, un qualcosa di estremamente positivo in mezzo a tanta noncuranza. Il regista ha voluto ritagliare una consistente parte per l’attrice Lena Olin (sua moglie nella vita) nel ruolo della moglie di Erik. Sulla carta avrebbe potuto essere benissimo un ruolo minore, su cui non sarebbe stato importante soffermarsi ai fini dei presunti intrighi, ma sullo schermo e nei dialoghi, nelle scene in cui il personaggio è presente, il film spicca in alto e viaggia su un livello superiore. Se l’intero film si fosse basato unicamente su quel rapporto tra marito e moglie, su quella disperazione nel voler dare e ricevere fiducia, sui vuoti e le mancanze che si vengono a creare tra uomo e donna, sulla presa di coscienza di quello che si ha interiormente per poi permettere quel passaggio magico che dall’astrale e al mentale passa al reale (che potrebbe essere una metafora per descrivere a grandi linee l’ipnosi) sarebbe stata un’idea geniale. Evidentemente è stata erroneamente trascurata la potenza di questa dinamica, che conosciamo stata approfondita e sviscerata dallo svedese per eccellenza, trattasi di Ingmar Bergman. Il giallo avrebbe dovuto essere uno sfondo, il dramma in primo piano. Hallström ha sfiorato questa intenzione, avendo anche a disposizione una grandiosa attrice quale Lena Olin (davvero superba in questa sua interpretazione) , ma non ha rischiato fino in fondo, non ha seguito, forse, il suo vero “dharma”. O forse è il seme di Hollywood che è troppo duro da estirpare. Molto curiosa la scelta di affidare l’adattamento cinematografico di un best seller tanto sofisticato, a detta di molti (ma non di tutti, per fortuna), a Paolo Vacirca (anche se affiancato da Peter Asmussen, collaboratore di Lars von Trier per Le onde del destino) da tredici anni operativo in veste di sceneggiatore alla Troma Entertainment del mitico Lloyd Kaufman.
Giovanna Ferrigno