L’ipotesi dell’Unione Transatlantica: breve analisi

Creato il 07 ottobre 2013 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR

Nel 2007, l’allora presidente degli Stati Uniti George W. Bush, s’incontrò a Washington con la cancelliera Angela Merkel e il presidente della Commissione europea Josè Manuel Barroso. Non fu un caso se l’allora presidente di turno dell’Unione Europea fosse proprio la cancelliera tedesca, motivo dell’incontro fu infatti l’avvio di una trattativa per la creazione di un’area di libero scambio tra Stati Uniti ed Europa. Formalmente l’Unione dovrebbe riguardare l’ambito economico, ma la mole degli attori e degli interessi in gioco, rende dubbia la creazione di un partenariato puramente commerciale, ancor più dinanzi ai mutamenti internazionali che vedono il sorgere di nuovi agglomerati geoeconomici e geopolitici.

L’ascesa dei BRICS sulla scena internazionale, non più solo economica, ma anche politica, porterà insieme al mercato asiatico, baricentro dell’economia globale in questo secolo1, a un cambiamento sostanziale degli equilibri. Questi mutamenti stanno portando alla riforma di diverse organizzazioni internazionali, tendenza questa che s’intensificherà nei prossimi anni. La crisi economica sta promuovendo questa tendenza, i BRICS hanno già esposto il loro progetto di una banca per lo sviluppo, presentata come alternativa alla banca mondiale, bollata come tutelante degli interessi occidentali insieme al Fondo Monetario Internazionale (FMI) che attualmente vive una prima fase di riforme2.

Se il progetto andrà a buon fine, la futura banca, che avrà un capitale iniziale di 100 miliardi di dollari3, sarà la prima vera istituzione dei BRICS. Essa oltre a supportare la futura agenda politico-economica dei paesi di appartenenza, racchiuderà in se il valore simbolico di un futuro multipolare. Ennesimo fattore di coesione è il progetto per la creazione di un nuovo cavo sottomarino per le telecomunicazioni che collegherà direttamente in maniera esclusiva i membri BRICS per diramarsi in Africa e infine negli Stati Uniti4.

Ulteriore forza al cambiamento dell’ordine economico internazionale sta nel fatto che la Cina, secondo importatore di petrolio al mondo dopo gli Stati Uniti e primo consumatore di energia al mondo, ha siglato il più grande accordo petrolifero della storia con la Russia, secondo produttore dopo l’Arabia Saudita. Fatto nuovo e indicativo è l’accordo tra Mosca e Pechino di svolgere le transazioni in valuta cinese e non più in dollari. Al termine dell’ultima riunione dei BRICS a Durban in Sud Africa, è stata annunciata un’altra intesa tra la Cina e il Brasile con la firma di un accordo di currency swap che vincolerà le due parti all’uso delle proprie valute per i futuri scambi commerciali. Si va così a incrementare il flusso delle transazioni fuori dall’area del dollaro, ma si vanno anche “familiarizzando” gli scambi tra i paesi membri che commerciano con le proprie valute; oltre tutto la Cina, proprio nel 2007 ha superato gli USA, diventando il primo paese esportatore al mondo. Da notare che anche l’Iran, vende petrolio in yuan alla Cina a causa dell’embargo statunitense.

Sono dunque le materie prime a stimolare ed essere vettore del cambiamento che potrebbe portare al declassamento del dollaro come moneta di riferimento internazionale. Quasi sicuramente ciò accadrà già nel prossimo decennio, sostituito da una nuova moneta o dallo stesso yuan che si va ormai internazionalizzando5. La Cina nel 2009 ha proposto d’incrementare l’uso dei diritti speciali di prelievo (DSP), la moneta del FMI, con l’obiettivo di decentrare il dollaro dal sistema monetario internazionale cautelandolo dalle turbolenze a esso legate. L’appartenenza all’Eurasia di tre membri BRICS, ma anche di future economie come alcuni dei “prossimi undici”, la rendono inevitabilmente protagonista del cambiamento in atto. Il presidente cinese Xi Jinping, nella sua recente visita ad Astana, ha espresso l’intenzione di realizzare una cintura economica ricalcando l’antica via della seta6, un progetto ambizioso e che difficilmente potrà realizzarsi senza l’aiuto di Mosca. Il messaggio è comunque chiaro, la Cina reputa sempre più importante il consolidamento dell’Asia Centrale, non solo come corridoio energetico.

I mutamenti e le tendenze descritti hanno dato impulso al progetto di Unione Transatlantica con l’esplicito intento di mantenere lo status quo internazionale dell’Occidente che andrebbe altrimenti ridimensionandosi. Dopo il colloquio avvenuto nel 2007, è stato istituito il Transatlantic Economic Council (TEC), organismo bilaterale incaricato di dirigere e supervisionare i lavori preparatori, copresieduto da un funzionario di livello dell’Ufficio esecutivo del presidente degli Stati Uniti e da un membro della Commissione Europea. Primo obiettivo, creare un mercato comune che dia nuovo impulso alle due sponde dell’Atlantico; sembra però che le stime più ottimiste fornite dall’Eurostat, indichino per l’Europa un aumento del PIL solamente dello 0.5% mentre per gli Stati Uniti 0,4%.

Le stime risultano modeste per un progetto così ambizioso e ciò è dovuto al fatto che i rapporti commerciali tra UE e USA sono già in uno stato avanzato. Gli incrementi previsti deriverebbero solamente dalla riduzione o eliminazione dei dazi, cooperazione doganale e creazione di standard comuni attinenti alla conformità di sicurezza, salute e tutela dell’ambiente. Un ulteriore incremento deriverebbe dalla liberalizzazione dei servizi e dall’apertura del mercato americano degli appalti pubblici, attualmente tutelato da leggi protezionistiche. Il Consiglio Transatlantico ha elencato i settori nei quali l’Unione dovrebbe collaborare, realizzando il secondo obiettivo, cioè creare un blocco atlantico che competa a livello globale, avendo dunque finalità di tipo politico.

Gli ambiti nei quali si stringerà la collaborazione saranno:

  1. Cooperazione normativa (Valutazioni d’impatto, consumo)
  2. Diritti di proprietà intellettuale (Copyright Enforcement, brevetti, contraffazione e pirateria)
  3. Sicurezza del commercio (Dogane e sicurezza del commercio, agevolazione degli scambi)
  4. Mercati finanziari (Regolamentazione normativa del mercato dei capitali, dialogo normativo dei mercati finanziari UE-USA, Accounting Standards, Auditing)
  5. Innovazione e Tecnologia (Dialogo sull’innovazione, salute, Radio Frequency Identification “RFID”, ricerca biotecnologia e prodotti biotecnologici)
  6. Investimenti (Libertà di movimento per i capitali).

Nel 2009 il Consiglio ha creato un gruppo di lavoro con l’obiettivo di trovare la formula migliore per dare inizio alla realizzazione concreta dell’Unione. I lavori dell’High Level Working Group on Jobs and Growth (HLWG) si sono focalizzati prettamente sul commercio, l’occupazione e la crescita, incentrando i lavori alla ricerca delle politiche e delle misure adeguate alla creazione di un partenariato vantaggioso per ambo le parti. Il rapporto finale, pubblicato nel febbraio 2013, propone che i negoziati tra i rispettivi parlamenti sì indirizzino nell’immediato futuro sulle seguenti misure e politiche:

  1. Eliminazione o riduzione delle barriere al commercio come i dazi o quote di essi
  2. Migliorare la compatibilità dei regolamenti e delle norme
  3. Eliminazione, riduzione o prevenzione di ostacoli al commercio di merci, servizi e investimenti
  4. Cooperazione rafforzata per lo sviluppo di norme e principi su questioni globali di interesse comune per il raggiungimento di obiettivi economici globali condivisi.

L’Unione Transatlantica ricalca nei modi e nelle forme, quello che fu il progetto fondante la CEE. Il trattato europeo istituiva un mercato comune che si basava su quattro libertà fondamentali: libera circolazione delle persone, dei servizi, delle merci e dei capitali.

Il trattato aboliva poi i dazi doganali e i contingenti nei riguardi delle merci scambiate, si andava così istituendo l’unione doganale, primo passo necessario per avere una base su cui operare una politica commerciale comune. Ciò distingue una semplice area di libero scambio da una vera e propria unione, queste sono le linee guida che pur con alcune iniziali riserve, intende seguire l’Unione Transatlantica.

L’Europa e gli Stati Uniti sono però sostanzialmente differenti. Anche se negli ultimi decenni l’Europa ha passivamente subìto le politiche statunitensi, sussistono interessi e visioni differenti. In ambito economico possiamo trovare un’interessante prospettiva di quali sarebbero le tendenze da seguire, in un rapporto della banca americana J.P. Morgan, espressione di quella finanza deregolamentata che ha generato la crisi7. In esso si evidenzia la necessità di riformare il sistema sociale in alcuni paesi europei, considerato un ostacolo al sistema neoliberista al quale l’Europa non è ancora pienamente allineata; si auspicano riforme costituzionali di stampo liberista, potrebbero quindi arrivare pressioni per la privatizzazione della sanità e della previdenza sociale e per la totale cessione delle partecipazioni statali. In ambito militare, possiamo poi considerare il progetto del caccia F35, come prodromo di un nuovo modello di ulteriori e future cooperazioni per integrare le forze armate? È possibile.

Nei rapporti in ambito decisionale, bisogna poi rilevare un dato di non poco conto, gli USA a differenza dell’Unione Europea, sono uno Stato, di conseguenza agiscono e trattano come tale. Questo fattore potrebbe generare rapporti sbilanciati, di fatto, già accade all’interno della stessa UE tra gli stati membri, difficile che non accada nell’ipotetica Unione. Valutando ulteriormente le possibili evoluzioni, nello specifico, la stipulazione di futuri trattati che andrebbero a intensificare i rapporti in diversi ambiti, l’Europa in nome dei vincoli che ne deriverebbero, potrebbe essere trascinata in politiche a essa sfavorevoli, perdendo vantaggi acquisiti nel corso degli anni o mancando opportunità prossime all’orizzonte.

Dopo mezzo secolo di stallo originato dalla guerra fredda, vi è adesso la concreta opportunità per regionalizzare il commercio con la Russia, paese che oltre al suo mercato in forte espansione, detiene vastissime quantità di molteplici risorse, fattore che la rende fortemente complementare all’Europa bisognosa di esse.

Politiche estere statunitensi, come lo scudo spaziale, incrinerebbero nuovamente i rapporti, minimizzando il potenziale derivante da un fecondo partenariato che sarebbe così ridimensionato, spingendo ulteriormente la Russia a oriente, fattore che rischia seriamente di portare l’Europa a una marginalizzazione che la renderebbe una doppia periferia, l’una atlantica, l’altra eurasiatica. I tempi sembrano invece maturi, il Vecchio Continente vive oggi la concreta possibilità di ridisegnare il suo ruolo in una cornice d’indipendenza che le permetta di uscire dalla crisi arrivata da oltre oceano, svincolandosi da schemi totalmente desueti e alimentati da puro calcolo politico.

L’obiettivo è di rinnovare il blocco atlantico, formatosi da equilibri novecenteschi, con una rinnovata struttura in chiave multipolare, poggiandosi ancora una volta sul cardine europeo. Il pericolo odierno è dettato da una realistica inclusione europea nel grande spazio eurasiatico, ciò sarebbe un precedente storico che, di fatto, farebbe perdere agli Stati Uniti molto più del dominio monetario ed economico, forze centrifughe potrebbero portare alla disgregazione della stessa alleanza atlantica.

L’Unione Transatlantica si muove ulteriormente verso il consolidamento di posizioni acquisite tramite diverse istituzioni internazionali che si tenta di mantenere in vita ridisegnandone gli equilibri interni ed esterni. Vincolare l’Europa è fondamentale a tale scopo. Solo inglobandone nuovamente il mercato e le istituzioni, gli Stati Uniti potranno evitare la perdita definitiva dello status di potenza ottenuto dopo la seconda guerra mondiale. L’Unione concederebbe comunque agli USA un potere decisionale, anche nell’ipotesi che diverse organizzazioni internazionali fossero sostituite da altre più in linea con i tempi, quando la fase multipolare sarà giunta a un livello da poterle mettere seriamente in discussione. Questo ipotetico blocco geoeconomico potrebbe dunque essere uno degli attori internazionali nei prossimi decenni; quelle elencate sono comunque una minima parte delle dinamiche sia interne sia esterne che questo nuovo agglomerato potrebbe generare.


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