L'ira del mite - M. Gramellini

Creato il 17 ottobre 2012 da Tiba84
Temete l’ira del mite. E’ pacifico e tollerante, intento a scrostarsi di dosso le cicatrici di un dolore antico. Chiede soltanto di essere amato e di non venire considerato come gli altri: i disinvolti, i beceri, gli arrivisti. Coltiva anche dei miti, il mite. Dei miti e dei sogni. Ne conosco uno che aveva il mito dell’America buona e il sogno di fondare in Italia un partito progressista moderno. Finché il sogno si avverò e il mite ne divenne il capo. Alle elezioni prese un mucchio di voti, ma i compagni di bottega smisero egualmente di amarlo. Lui si chiamò fuori, offeso e deluso. Da tutti e da uno in particolare: un tipo coi baffi che non cercava l’amore degli altri perché se ne dava già abbastanza da sé. Ma il mite ha pazienza. E un tempismo formidabile. Il momento che sa aspettare è sempre quello giusto.
Il nostro mite, chiamiamolo Walter, nel giorno del quinto anniversario del suo sogno-partito andò a dire in tv: io sono diverso, non mi candido più. Una scelta sofferta, certo. E personale, certissimo. Eppure bastò che lui si staccasse dalla colonna a cui per forza di inerzia era ancora rimasto appoggiato perché il tempio cadesse giù, precipitando sulla testa di coloro che non lo avevano amato o, peggio, avevano smesso di amarlo. Fra i calcinacci si riconosceva il tipo coi baffi, chiamiamolo Massimo, intento a scambiarsi irriconoscenze col nuovo capo, un Pier Luigi che era stato proprio Massimo a mettere lì, per sfregio nei confronti del mite. Il quale osservò la scena del disastro senza compiacimento né compassione, con un riverbero di tristezza implacabile negli occhiali. Tremenda è l’ira di noi miti.