di Alberto Gasparetto
BloGlobal riceve e divulga con piacere un interessante articolo pubblicato dal Blog “Come2discuss” sul pericolo nucleare iraniano. All’indomani del nuovo Report dell’AIEA, un’interessante disamina dei fatti dal 2001 ad oggi su legittime aspirazioni e rischi concreti di uno sviluppo nucleare militare.Sappiamo com’è andata ed il penultimo libro di Trita Parsi, Treacherous alliance[1], ce lo spiega assai bene. Teheran aveva tentato a più riprese di instaurare un dialogo con Washington sforzandosi di volgere a proprio favore l’atout rappresentato dalla ricostruzione in Afghanistan, in seguito all’invasione militare atlantica dell’autunno 2001. All’epoca, a guidare l’esecutivo c’era ancora, al suo secondo mandato, il riformista Khatami, ovvero l’uomo che più di tutti aveva lanciato segnali di distensione all’America, orientando il discorso politico internazionale al «dialogo fra civiltà». Niente da fare. Gli Stati Uniti erano sembrati troppo scossi dalla più grande tragedia che la televisione avesse mai documentato in diretta e l’Amministrazione Bush, come testimoniato dai politologi americani John Mearsheimer e Stephen Walt [2], risultava eccessivamente influenzata da un gruppo di neoconservatori oltremodo vicini agli imperativi della sicurezza nazionale di Israele. Addirittura, puntare contro l’Iran, invece che contro l’Iraq di Saddam, era inizialmente nelle intenzioni di Gerusalemme.
Un nuovo ciclo di propaganda anti-iraniana e favorevole ad un attacco militare si ripropose nel 2005 allorché l’attuale Presidente ultraconservatore Mahmoud Ahmadinejad vinceva le elezioni, annunciava le ambizioni egemoniche dell’Iran fondandole sulla volontà di riattivare il ciclo nucleare e legava tali proclami a continui appelli alla distruzione dello Stato di Israele. Ma anche quella volta, invece di colpire direttamente l’Iran, Israele finì per concentrarsi su un altro teatro, quello libanese, sferrando nell’estate del 2006 un attacco a Hezbollah, avamposto del regime degli Ayatollah nel Paese dei cedri.Che cosa è cambiato rispetto a cinque-dieci anni fa? Che cosa spinge oggi Israele, in una maniera che appare più assertiva rispetto al passato, a dichiararsi disponibile per un attacco militare? Nella giornata di ieri, l’AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) ha pubblicato un resoconto sullo stato di avanzamento del programma nucleare iraniano, della cui natura bellicosa molti si aspettavano la conferma. Dal canto loro, le autorità politiche di Teheran, in primis il Ministro degli Esteri Ali Akbar Salehi, fanno bene il loro mestiere e non si stancano di dichiarare la natura pacifica del programma. Nel rapporto, il regime degli Ayatollah è accusato di realizzare ordigni nucleari con la complicità della Russia. L’Iran avanza effettivamente la necessità di diversificare le fonti di approvvigionamento energetico allo scopo di alleggerire la dipendenza da quella risorsa di cui vive di rendita, il petrolio. Per questa ragione ha intensificato le relazioni proprio con la Russia, con cui la collaborazione alla realizzazione di una centrale nucleare era stata avviata già durante gli anni Novanta.Orbene, l’aspetto che oggi segna un passaggio fondamentale rispetto allo scenario dello scorso decennio è niente meno che la cosiddetta «primavera araba». Al di là del fatto che, come molti hanno osservato, la situazione che si sta delineando in diversi Paesi dovrebbe indurre una maggiore prudenza quanto alle diagnosi politiche, il punto sostanziale sta nel radicale cambiamento degli equilibri regionali e, conseguentemente, dei rapporti fra quei Paesi attraversati dagli sconvolgimenti interni e lo Stato di Israele. La questione riguarda innanzitutto l’Egitto, il principale (se non l’unico, o quasi) partner arabo del governo di Gerusalemme in Medio Oriente. E’ evidente che il crollo di un regime suo alleato fin dal 1979 preoccupi notevolmente il governo israeliano, soprattutto considerando la possibilità che forze islamiste ostili a Israele prendano, com’è plausibile aspettarsi, il potere. Probabilmente anche per tale ragione si spiega l’apparentemente incomprensibile accordo raggiunto dall’esecutivo di Netanyahu con Hamas, per il tramite fondamentale dell’Egitto, legato al rilascio di oltre mille detenuti palestinesi in cambio di un solo soldato israeliano, quel caporale di nome Gilad Shalit catturato dal movimento di resistenza islamica dopo le elezioni vittoriose del 25 gennaio 2006. Una liberazione che, ufficializzata lo scorso 18 ottobre, si attendeva da oltre cinque anni, era già stata cercata più di una volta e arriva con insolita puntualità in uno stadio delicatissimo dei rapporti fra Israele, Stati Uniti ed Iran. Uno scambio di cui, malgrado gli imperativi dettati dalla Ragion di Stato, è semplice notare la sproporzione. Uno scambio che, al contrario, proprio per via delle esigenze imposte dagli arcana imperii, si è reso necessario nella fase attuale per allentare la tensione anche con l’Egitto, in vista di un futuro incerto.Inoltre, per quanto concerne i rapporti fra Gerusalemme, Washington e Teheran, non va dimenticata una notizia che aveva generato clamore pressappoco un mese fa: il presunto complotto ordito dalle forze Quds iraniane per assassinare l’Ambasciatore saudita a Washington. Un’operazione che aveva immediatamente destato i sospetti di molti analisti e commentatori[3], sia per le modalità di organizzazione, sia per il contesto di grave crisi interna che il regime iraniano sta vivendo da un anno a questa parte, con un Ahmadinejad sempre più osteggiato dall’establishment conservatore guidato dal faqih Ali Khamenei. La sindrome dell’isolamento e la paura di rimanere preda di nefaste circostanze regionali ha fatto suonare il campanello d’allarme per gli uomini di Gerusalemme. Ecco come una serie di fattori esterni, ambientali (regionali e/o internazionali) possono ripercuotersi sulle considerazioni di politica estera elaborate da uno Stato sovrano.Negli scorsi giorni, un fine analista liberale come Fareed Zakaria ha dichiarato che la soluzione in mano ad Obama, pur riconoscendo alcune difficoltà, è semplicemente quella di intensificare il dialogo con l’Iran attraverso il raggiungimento di accordi in campi di interesse comune, quali possono essere la questione nucleare o il futuro afghano[4]. Più realista sembra essere Trita Parsi, il quale avverte che le minacce israeliane di ricorrere all’uso della forza non sono una novità, e che tuttavia non vanno sottovalutate. Due elementi contingenti – avverte Parsi – segnano infatti una discontinuità rispetto al passato: Obama teme che in campagna elettorale i repubblicani possano usare la questione israeliana contro di lui; se l’Iran si dotasse dell’arma nucleare, le sanzioni e l’azione militare non sarebbero più due opzioni alternative, ma diverrebbero complementari ed entrambe necessarie[5].Ad essere contrari all’intervento militare, oltre all’Iran, vi sono anche Paesi quali Russia, Cina e Turchia. E’ importante segnalare queste posizioni, dal momento che le autorità israeliane dovranno valutare nei minimi dettagli l’opportunità di intraprendere un conflitto. Si tratta di Paesi confinanti (o quasi) con l’Iran e che intrattengono solidi rapporti economici, soprattutto nel campo dell’energia. Tutti e tre si sono sempre dichiarati contrari ad un Iran nucleare, per il pericolo evidente di proliferazione regionale che ne deriverebbe, ma non si sono mai sottratti a promuovere quell’iniziativa diplomatica che, su questo versante, è sempre stata carente da parte di Stati Uniti e Israele. La Russia stessa, in particolare, ha esplicitamente affermato che un attacco sarebbe un «errore molto grave»[6]. La cooperazione nel settore energetico fra Mosca e Teheran è ormai consolidata, con l’attivazione dell’impianto nucleare di Bushehr avvenuta due mesi fa. Al progetto di avviamento della centrale iraniana, che in condizioni di completa efficienza sarà capace di generare mille megawatt di elettricità, la Russia e l’Iran hanno lavorato sin dal 1995 e oggi vi lavorano circa 1.500 cittadini russi[7].La Russia è convinta che negoziare con l’Iran sulla questione nucleare è l’unico modo per ammansire i governanti a Teheran e per ottenere trasparenza. A questo scopo, nella scorsa estate è stata lanciata la cosiddetta cooperazione step-by step che consente un più continuo controllo delle attività nucleari iraniane attraverso la possibilità di mantenere aperto un canale di dialogo in cambio di un alleggerimento delle sanzioni[8]. Una linea, intrapresa dai Ministri degli Esteri Sergej Lavrov e Ali Akbar Salehi, che ha pienamente convinto le autorità politiche dei due Paesi.Se questo è il quadro della situazione, un intervento armato da parte israeliana è altamente sconsigliabile. Gli Stati Uniti probabilmente non hanno la forza per poter sostenere un ennesimo impegno militare – e della tendenza a ritirarsi dagli affari mondiali, stando dietro le quinte, rifiutando un impegno diretto e mandando in avanscoperta i propri partner hanno dato prova in occasione della vicenda libica. Colpire gli impianti nucleari iraniani vuol dire dichiarare guerra anche alla Russia e provocare il risentimento di potenze emergenti quali Cina e Turchia. Quest’ultima, con cui Israele sta esperendo frizioni già da quasi un anno e mezzo, sembra assai interessata al mantenimento dellostatus quo da cui può trarre beneficio in vista dell’assunzione di un ruolo di egemonia regionale fondato sul softpower e sul principio «zero problemi con i vicini».In politica internazionale vale l’assunto realista secondo cui non si può mai essere certi delle intenzioni altrui. Questo criterio vale soprattutto nelle relazioni fra Iran e Israele – un Paese, quest’ultimo, guidato da un approccio troppo ideologizzato nella valutazione dei rischi connessi alla sicurezza nazionale che non ha mai saputo valutare pragmaticamente la politica estera iraniana. Anche se è assai probabile che le minacce di Israele siano volte, più che altro, a fare pressioni sull’Occidente affinché inasprisca le sanzioni contro il regime di Teheran, è lecito attendersi di tutto.
* Alberto Gasparetto è PhD candidate in Political Science and International Relations (Università di Torino)
[1] Trita Parsi, Treacherous alliance. The secret dealings ofIsrael, Iran and the U.S., Yale UniversityPress, 2007[2]John Mearsheimer, Stephen Walt, The Israel lobby and U.S. foreign policy, Farrar,Straus and Giroux, 2007.[3] Si vedano, ad esempio, Reza Marashi and Trita Parsi, The “Come to Jesus” Moment in US-Iran Relations, Huffington Post, 14 ottobre 2011 reperibile al sito http://www.huffingtonpost.com/reza-marashi/the-come-to-jesus-moment- b 1006804.html e Robert Tait, Iran Assassination Plot Raises Questions, Payvand.com, 13 ottobre 2011, reperibile sul sito http://www.payvand.com/news/11/oct/1135.html.[4] Fareed Zakaria, To deal with Iran’s nuclear future,go back to 2008, Washington Post, 28 ottobre 2011, reperibile all’indirizzo web:http://www.washingtonpost.com/opinions/to-deal-with-irans-nuclear-future-go-back-to-2008/2011/10/26/gIQADQyEKM_story.html [5] Trita Parsi, Is Netanyahu bluffing once again?, 4novembre 2011, tratto da:http://globalpublicsquare.blogs.cnn.com/2011/11/04/is-netanyahu-bluffing-once-again/ [6] Russiasays strike on Iran’very serious mistake’, Hurriyet Daily News, 7 novembre 2011, reperibile alsito:http://www.hurriyetdailynews.com/n.php?n=russia-says-strike-on-iran-very-serious-mistake-2011-11-07 .[7] John Daly, Iranian Busherh nuclear plant comes online,http://oilprice.com/Geo-Politics/Middle-East/Iranian-Bushehr-Nuclear-Plant-Comes-Online-World-Survives.html [8] Iranhas a positive view on Russia’s‘step-by-step’ plan, Tehran Times, 17 agosto 2011, consultabile sul web allapagina http://tehrantimes.com/index.php/politics/1724-iran-has-a-positive-view-on-russias-step-by-step-plan-salehi .