Se un membro della famiglia è stato 'escluso' o 'dimenticato', a causa di un tragico destino, può succedere che un altro membro, di generazioni successive, si identifichi inconsciamente con l'escluso, imitandone la sorte e seguendolo nel suo destino.
Bert Hellinger
Anno 1978. Un ragazzo di diciassette anni segue controvoglia la famiglia in un paese remoto dell'appennino emiliano per tre lunghi mesi estivi. E' l'idea centrale che ispira questo bel romanzo di Nicola Tassoni, edito da Eumeswil, 2013.
Romanzo di formazione, storia del passaggio iniziatico da un'adolescenza pigra e e svogliata all'età adulta.
La vicenda di una metamorfosi di sguardo, che dal ripiegarsi su se stesso e sul proprio microcosmo in modo circolare si apre - non senza traumi- al mondo di fuori.
Il protagonista della storia coincide con l'io narrante; è un individuo scontroso, tendenzialmente taciturno, legato estremamente al suo territorio e per questo, a volte, baricentro affettivo di altri personaggi al contrario di lui dotati nel loro DNA della possibilità di viaggiare, di andare e tornare - o non rientrare - dall'estero.
Questo legame geografico-interiore ai luoghi in cui è nato non cade comunque mai nell'atmosfera stucchevole di un'emilianità di maniera. La cucina della nonna è elemento fondamentale, quasi strutturale della vita di famiglia, il cui codice dell'affetto passa spesso dalla condivisione della tavola.
Una festa dell'Unità è citata rapidamente, come di sfuggita. L'accoglienza tutta emiliana, ruvida, priva di smancerie dei paesani, è descritta in poche parole:
Il barista ci mise poco a presentarmi, non disse nemmeno il mio nome, per lui ero il terzino e questo doveva bastare anche agli altri (p.60).
In questa estate stupefacente, colazioni, pranzi, descrizioni che riguardano il cibo sono citati frequentemente soprattutto nella prima parte del romanzo, a scandire sacralmente la quotidianità dei riti del desco familiare, a rendere l'idea di un tempo diverso da quello della scuola, del tempo della vacanza.
Al ragazzo toccheranno non poche sorprese nello svolgersi della villeggiatura organizzata dai suoi.
Fare esperienza di eventi decisi da altri resterà una costante nella sua esistenza, come se a muovere in modo decisivo le pedine del caso fossero sempre mani simbolicamente più grandi delle sue, e negli snodi del destino una sorta di entità astratta, o l'azione di altri gli permetta di vivere gli eventi drammatici e felici che gli spettano.
Nel libro, preferisco i passi in cui l'autore 'dimentica' di chiosare con ragionamenti e diagnosi non sprovviste di saggezza quello che vi è narrato; quando la sua mente si mette un pò da parte fa decollare una vena narrativa potente, che sa disegnare personaggi ben riusciti anche nello spazio breve di uno o due paragrafetti di un capitolo; che non sono mai superficiali ritratti macchiettistici.
La descrizione di Doppietta:
Dietro il bancone del bar, sembrava anche più grosso. La tazzina da caffè nelle sue mani sembrava il servizio da tè della casa delle bambole di mia cugina. Una cosa minuscola, che ti veniva da guardarci dentro per vedere se il caffè c'era davvero o se era tutta una finzione (p.56).
O del nonno di Sonia:
Parlava poco e quando lo faceva diceva quattro parole in dialetto e una in italiano, e spesso lasciava la frase in sospeso così ogni persona che lo ascoltava, poteva finire il ragionamento a suo piacimento (p.82).
Folgorante il racconto delle increspature della vita di qualcuno (il benzinaio, il professore, la mamma di Sole) che, nella sua solitudine rassegnata, a volte incappa in qualcosa di rigenerante, anche se, poi, quella fortuna spesso vira in disastro.
La verità è che le storie, nella loro natura profonda, non sono sempre belle e buone; le radici delle narrazioni fiabesche popolari, le più antiche, non mancano di crudeltà; questa la considero una nota avvincente di questo libro.
Pensiamo a due personaggi fondamentali dell'intreccio, Sole e Nero: chi racconta guarda tutte e due le facce della luna, e con la scrittura tenta di dare un ordine alla prorompenza della vita che può afferrare chiunque di noi per i capelli, all'improvviso, sbucando con un camion da dietro una stradina, o facendoti sbattere contro un palo mentre per la prima volta tuo padre è venuto a vedere che sei davvero capace di segnare un gol in una stellare partita di paese - che ogni anno mette agli atti ufficiali del municipio i soprannomi dei partecipanti alla competizione.
Noto con piacere che lo scrittore non usa la sintassi in modo 'giovanilistico' e volutamente sgrammaticato come molti scrittori à la page della sua generazione, ma segue un suo stile personale che rimane nella medietà, che flette verso il parlato senza assumerne quasi mai tratti gergali o dialettali.
Sono la ricca aggettivazione e la presenza di metafore non ovvie, che spesso sono articolate come piccole storie, a connotare stilisticamente la prosa:
Quel sole dritto e caldo che splendeva inoperoso; Ero libero sull'autobus che mi portava verso casa e tagliava la periferia libera e sudata, come fosse un velluto (p. 19);
A centrocampo c'erano due fratelli con otto polmoni, piedi ruvidi, grinta da vendere e corsa da maratoneta (p.67).
Si registra la quasi assenza di dialoghi. L'autore preferisce raccontare quasi sempre tramite lunghi periodi con molte apposizioni di frasi separate dalla virgola:
L'ho amato, odiato, mandato giù in fretta come un liquore cattivo, l'ho tenuto nascosto sotto il cuscino come fosse un segreto, me lo sono goduto, come ci si può godere una birra fresca in un pomeriggio afoso, oppure il calore di un fuoco in una sera d’inverno (p.16).
Notevoli le descrizioni di paesaggi urbani e non, a volte in felice sintesi di immagini accostate:
Con un mio orgoglio di cittadino di pianura, di strade e cemento, smog e casino, spazi stretti e confini(p.30).
Oppure: L'aria fresca scendeva dalla montagna e portava pensieri buoni, pensieri di festa rimasti impigliati nei rami della grande quercia (p.130).
Particolarmente efficaci le descrizioni del luogo, con animali umanizzati, che si mettono gioiosamente in stretto contatto con il protagonista:
Tornai in mansarda a far colazione, sotto lo sguardo attento dello scoiattolo che sembrava sorridere (p.34).
Quando tornai alla realtà, il cane c'era davvero, stava lì davanti alla casa e guardava verso di noi, come se si fosse accorto che lo stavo immaginando (p.79).
L'importanza reiterata data al rapporto affettuoso e insostituibile che si può creare fra l'uomo e il cane.
Non solo gli animali, ma anche elementi del paesaggio, oggetti, il paese stesso sembrano essere provvisti di coscienza:
Nel suo correre verso il mare abbastanza lontano, si divertiva a giocare con l'ambiente che lo circondava, ogni tanto per rompere la monotonia tipica delle linee diritte, sterzava seguendo la conformazione del terreno e formava anse e buche per farci il bagno e pescare (p. 39).
Il piccolo paese sembra essere un'entità dotata della capacità di risollevarsi:
Passò il tempo delle sfide e dei tornei, la guerra e la miseria cancellarono anche le feste, ma le storie si tramandano e si raccontano e così quando venne il tempo di ricostruire, quando il piccolo paese cominciò a rialzarsi, quando oltre alla forza di volontà, si sentiva il bisogno di un aiuto spirituale che infondesse speranza e futuro, nel centro della piazza venne costruita una nuova chiesa e un nuovo comune (p.52).
Dolcezza e saggezza traspaiono da tutte le figure femminili, spesso anzi vittime di un maschile incerto o violento.
Questo romanzo lascia alla fine, nel lettore, la persistente sensazione che l'origine di ogni errore possa essere più di ogni altra cosa adattarsi al silenzio, la rassegnazione alla solitudine. Persistendo nella passiva accettazione della sua disperazione il benzinaio, forse, dà vita a una catena di eventi sfortunati, che sembra ricadere su personaggi innocenti della generazione successiva della sua famiglia.
Potrebbe allora valere anche il contrario: se i nuovi rami di una famiglia sbocciano, il beneficio può ricadere su quelli più sfortunati, come una benedizione; e forse, su tutto un paese.