L’Islam alle strette

Creato il 15 agosto 2014 da Zamax

Ma insomma: può esistere un Islam “moderato”, compatibile con la “modernità”, o l’Islam è costituzionalmente condannato al fanatismo integralista? Lo stesso fatto che ci poniamo questa domanda dimostra che involontariamente noi tutti, in Occidente, abbiamo assimilato un concetto di “religione” mutuato dalla natura del Cristianesimo, e che la nostra, nel più largo senso del termine, è una civiltà cristiana. Direi che i caratteri salienti di questa civiltà sono due: l’universalismo e la distinzione tra l’ambito pubblico e quello religioso, ambedue conseguenze del fatto che l’individuo, riconosciuto come figlio di Dio, viene dogmaticamente, per così dire, sottratto alla completa sottomissione a qualsiasi tipo di comunità o autorità terrena: egli non rinnega il suo clan, la sua tribù, la sua polis, il suo popolo, la sua “cultura”, ma non vi si identifica più. Ciò significa, inoltre, che l’uomo non può più trovare sulla terra la sua “compiutezza”, il suo “Essere”, per usare il linguaggio dei filosofi, ma deve necessariamente sperare in un destino ultraterreno, sperare di trovare la sua compiutezza in una comunità divina che nella Chiesa ha la sua ombra nel “Divenire” di questo mondo. L’Occidente non ancora cristiano aveva già conosciuto questo dialettica nella “profetica” figura di Socrate, esemplarmente ubbidiente alle leggi ed esemplarmente ubbidiente al suo “demone”. E non è un caso che il sogno impossibile (o l’incubo) della Repubblica di Platone trovi sfogo alla fine in una grandiosa visione escatologica. Ma alle indagini di Socrate e Platone mancava ancora la risposta della Rivelazione, la conferma divina.

Già nell’Antico Testamento, invece, troviamo i semi della civiltà cristiana propriamente detta. Il Decalogo già si distingue dalle “leggi di giustizia”, e ne costituisce una specie di prologo morale, scritto nella pietra dallo stesso “dito di Dio”, a differenza della Legge Mosaica vera e propria, che viene dettata. E’ Aronne, e non Mosè, a divenire sommo sacerdote d’Israele. E’ solo alla “stirpe di Aronne” che viene riservato l’officio sacerdotale. E la tribù dei Leviti, alla quale Aronne appartiene e che si occupa della gestione del culto religioso, è l’unica tra le dodici d’Israele alla quale non vengano assegnati territori. E’ poi a Mosè stesso che Dio annuncia che non metterà piede nella Terra Promessa: a significare che essa è solo il pegno di quella vera Terra Promessa cui non si accede coi piedi ma attraverso la morte. Ed è così che appena un secolo dopo la morte di Gesù, Giustino Martire può scrivere, in una “Apologia per i cristiani” indirizzata all’imperatore Antonino il Pio, parole di una chiarezza sorprendente: «Ci sforziamo di pagare ovunque, prima di tutti gli altri, le tasse e i tributi ai vostri preposti, come abbiamo imparato da Lui. In quel tempo, si avvicinarono a Lui alcuni che chiedevano se bisognasse pagare le tasse a Cesare. E Lui rispose: “Ditemi, questa moneta chi raffigura?”. Quelli, a loro volta, risposero: “Cesare”. E Lui, ancora, rivolto a loro: “Date, quindi, a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio”. Quindi noi adoriamo soltanto Dio, ma per tutto il resto obbediamo a voi di buon grado, riconoscendovi come legittimi imperatori e sovrani degli uomini, e pregando che in voi, insieme al potere imperiale, si trovi anche la retta ragione.»

Ma nell’Islam non c’è niente di tutto questo. Maometto fu per certi versi più un rivoluzionario che un profeta. Nel secolo scorso i vari Lenin, Mao, o Pol Pot, si servirono dell’idea di uguaglianza, figlia dell’universalismo cristiano, per conquistare il potere. E per certi versi il comunismo è stata una specie di eresia millenaristica. Il Corano di Maometto, non per caso sentito nel Medioevo come eretico, fu una confusa sistemazione di materiali letterari tratti dal Vecchio e Nuovo Testamento. Anche il mercante Maometto, come i rivoluzionari dei tempi moderni, fece, per così dire, le sue scuole in Occidente. Gli Arabi apparivano allora come l’etnia culturalmente meno indicata all’impiantarsi del monoteismo. Fra loro dominava il vincolo tribale. L’arabista Francesco Gabrieli descrive così la loro religione: «La religione della maggior parte di questi Arabi […] è un elementare polidemonismo, con elementi di feticismo e animismo. Gli Arabi adoravano uno svariato pantheon di divinità, nessuna delle quali ha però mai assunto forme sviluppate e personali, né è mai arrivata a sormontare decisamente sulle altre dando luogo a un enoteismo.» Maometto ebbe il genio di capire che appropriandosi dell’irresistibile ideale dell’universalismo cristiano e facendo leva sugli scontenti (e sugli ambiziosi), poteva rompere il vincolo tribale e assicurarsi il potere in una società così frazionata: l’unico profeta dell’unico Dio diventava l’unico capo …della tribù universale. Non bisogna perciò stupirsi che l’Islam abbia attecchito in tanti parti del mondo: esso porta con sé, seppur distorta da un afflato millenaristisco e settario, un’idea di uguaglianza e fratellanza.

Se il monoteismo fu la scala che portò Maometto al potere, il suo successivo consolidamento ebbe bisogno di una legge contenente una vasta quantità di precetti sufficiente a plasmare in profondità la nuova società; il Corano riflette la storia di questo consolidamento. Non avendo mai distinto Dio da Cesare, l’Islam è una “religione” senza una Chiesa, una religione fatta molto più di precetti che di dogmi. Precetti che si confondono con la legge. Dalla Sunna agli Hadith questa precettistica si è andata ampliando fino all’abuso, comprese le provvidenziali scappatoie che l’incontrollata legiferazione introduce allo scopo di annullare se stessa. Per cui non è del tutto sorprendente che nell’Europa di qualche secolo fa, specie nelle lettere e nelle arti, si potesse affermare l’immagine di un Islam accomodante e sensuale. Ma coi trucchi non si avanza all’infinito.

Il Cristianesimo si stende invece sul corso della storia e sul corpo del mondo modellandolo con dolcezza e costanza. Le accelerazioni provocano disastri e costituiscono delle perversioni terrene del suo spirito universalistico. Il Cristianesimo riconosce la relatività di questo mondo, la sua insufficienza, la sua soggezione alle leggi del tempo e dello spazio. Riconosce, ad esempio, la realtà delle nazioni, concetto alieno allo spirito dell’Islam. Accetta le imperfezioni del mondo, e predica pazienza. Al contrario dei millenarismi. E dei totalitarismi moderni. E un po’ alla volta forma la civiltà cristiana, anche se non bisogna confondere la civiltà cristiana col Cristianesimo o col numero dei cristiani. La civiltà cristiana rivela se stessa anche quando assume caratteri anti-cristiani. Di essa si può dire ciò che Tocqueville scrisse a proposto della democrazia: «Ovunque i vari incidenti di un popolo tornarono a vantaggio della democrazia; tutti gli uomini l’hanno aiutata con i loro sforzi: quelli che ebbero come scopo di concorrere al suo successo e quelli che non ebbero alcuna intenzione di servirla; quelli che combatterono per essa e quelli che le si dichiararono nemici; tutti insieme furono spinti sulla stessa via e lavorarono in comune, gli uni contro se stessi, gli altri a loro insaputa: ciechi strumenti nella mano di Dio.»

Nonostante l’Occidente prenda insulti da tutte le parti, noi osserviamo che in realtà il mondo si sta sempre più occidentalizzando. Anche il riposto revanscismo dei nuovi giganti del globo assume spesso, a ben vedere, forme occidentali. Ciò significa che il mondo, volente o nolente, in senso lato, culturale, non religioso, si sta sempre più cristianizzando. Anche se non lo dirà mai. E l’Islam sente questa enorme pressione, tanto più che il suo irrisolto monoteismo aspetta da un millennio e mezzo il suo inevitabile destino: dissolversi e risolversi nel Cristianesimo. E sente che l’ora si avvicina: il furore perfino caricaturale di certe sue manifestazioni si spiega così.

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