Si tratta di gioielli, monete, calligrafie, tappeti, tessuti, metalli cesellati, ceramiche, sculture, miniature, oggetti in avorio, una emozionante serie di capolavori che coprono un arco di mille anni di storia dell’arte islamica – dal VII al XVII secolo - e un territorio geografico immenso, dalla Spagna all’India.
La mostra si suddivide in due parti: la prima metà consiste in un percorso cronologico scandito in quattro tappe, dagli inizi fino ai tre grandi imperi cinquecenteschi, Ottomani, Safavidi e Moghul. Nella seconda parte si approfondiscono alcuni temi trasversali a tutta l’arte musulmana nelle apposite sezioni dedicate alla calligrafia, alla decorazione geometrica, agli arabeschi, all’arte figurativa e ai gioielli.
Accanto a questo Islam di provenienza istituzionale, “ufficiale”, ce n’è però un altro che al nostro Paese piace molto meno: è l’Islam – molto più povero – della gente comune, cioè dei musulmani che vivono in Italia. E ai quali, a Milano, si continua a negare un diritto fra i più elementari: quello di pregare in un luogo deputato a farlo, cioè in una moschea. Il capoluogo lombardo, infatti, è privo di una vera moschea (l’unica presente sul territorio,
Del resto, il cardinale Tettamanzi è ormai da tempo non solo un illuminato protagonista del dialogo interreligioso ma anche una “coscienza morale” della città, e Milano dovrebbe esprimergli maggiore attenzione e gratitudine…
Quando il nostro Paese saprà riconoscere non solo alla cultura islamica ufficiale ma anche alle persone che la incarnano – i musulmani residenti in Italia – lo stesso trattamento, potrà dirsi un Paese pienamente civile.