Dalla penna di Gavino Ledda al film dei fratelli Taviani: la Sardegna stavolta non è solo un set ma la protagonista assoluta di questo film duro e senza fronzoli, biografia autentica dello scrittore (anche interprete) costretto ad abbandonare la scuola per aiutare il padre nella pastorizia. Storia di un isolamento fisico e mentale, interrotto dalla provvidenziale chiamata alle armi. Palma d'oro a Cannes assegnata da un Rossellini entusiasta.
Dall'omonima canzone di De Andrè, un film bello e importante sul difficile percorso verso la modernizzazione di una terra piena di enormi contraddizioni. Disamistade significa inimicizia, vendetta: siamo negli anni '50 e un giovane studente torna al paese natale per un regolamento di conti impostogli dalla spietata legge del luogo. Il ragazzo si rifiuterà di ricorrere alla violenza, a carissimo prezzo.
Quattro episodi, quattro stagioni che rappresentano anche le fasi della vita: infanzia, adolescenza, maturità, vecchiaia. Opera prima di Salvatore Mereu, oggi forse il più noto dei cineasti sardi, a metà strada tra documentario e fiction, folklore e tradizione, paura e meraviglia. Il titolo si riferisce alla tipica danza locale.
La Sardegna vista dall'esterno, dagli occhi increduli e poco inclini all'analisi di chi viene dal 'continente'. Un giovane carabiniere bolognese viene spedito in Barbagia al termine del servizio militare: scoprirà un mondo inospitale, apparentemente inaccessibile, eppure affascinante e inimmaginabile. Il regista ha imparato a fare cinema da Ermanno Olmi. E si vede.
La Passione di Cristo raccontata, descritta e realizzata nel cuore della Sardegna. Un film povero, essenziale, scarnificato, senza alcuna concessione al manierismo cinematografico. Parlato in dialetto stretto, con attori (quasi) tutti non professionisti, faticosissimo, sofferto, esattamente come la scalata al Golgota del protagonista. Film che annulla la sacralità del rito pasquale, riflettendo amaramente sulla povertà terrena.