L’Isola Tiberina e le sue storie

Creato il 15 ottobre 2013 da Addictedtorome @Addictedtorome

Una delle cose più belle che ci offre Roma è la possibilità di passeggiare lungo il fiume Tevere, godendo di scorci meravigliosi!

Il colore dell’acqua non invoglia e, anzi, bisogna fare attenzione a non caderci dentro; è un fiume ormai purulento…e pensare che anticamente vi si lavavano i panni, si faceva il bagno ed era una via importante per il commercio!

Sono nata e cresciuta a Roma ma riesco ancora ad emozionarmi soprattutto, confesso, nel tratto del lungotevere che porta ad un’isola…si una vera e propria isola nel cuore di Roma, l’Isola Tiberina, in mezzo al Tevere che ne lambisce le sponde. Uno scorcio meraviglioso che offre alla vista dello spettatore un ospedale, un’antica farmacia, una basilica antichissima – la Basilica di S. Bartolomeo -, il castello Caetani e il ristorante di Lella Fabrizi – la famosa Sora Lella -, un vero spettacolo!

Mi piace lo scorcio paesaggistico, certamente ricco di storia, ma anche il fatto che nell’approssimarsi all’Isola Tiberina si incontrano tantissime donne in dolce attesa che daranno alla luce i loro pargoli nell’ospedale Fate Bene Fratelli S. Giovanni Calibita..proprio come è successo a me.

Voglio raccontarvi due aneddoti su quest’isola perché non tutti, forse, sanno che…

Circa tre secoli prima di Cristo, vi era un tempio dedicato a Esculapio, dio protettore della salute e della medicina: quel tempio nacque per volontà divina, mentre una commissione di sapienti, alla ricerca di soluzioni per risolvere una grave pestilenza abbattutasi sulla città, faceva ritorno a Roma in nave portando alcuni dei serpenti sacri di Esculapio. Accadde che un serpente fuggì andandosi a rifugiare proprio sull’isola e la barca rimase incagliata sulle rive dell’isola. Da quel momento, l’isola fu consacrata ad Esculapio, che in Grecia, veniva venerato come il dio della medicina, delle guarigioni e dei serpenti.

Il tempio, fu poi sostituito da un santuario-ricovero per gli infermi dedicato all’Apostolo San Bartolomeo. Se ne occupava una comunità di Suore Benedettine che, seguendo la tendenza degli ordini religiosi del periodo, prestavano soccorso all’esorbitante numero di accattoni, poveri ed infermi che invadevano la città.

La situazione restò sostanzialmente invariata fino a circa la metà del Cinquecento, quando venne vietato l’accattonaggio e i mendicanti furono accolti in istituti di recupero e formazione. Ecco perché venne costruito proprio l’ospedale, fondato dai seguaci di san Giovanni di Dio nel 1583, e rimodernato in seguito da Cesare Bazzani fra il 1930 ed il 1934; ebbe un ruolo importante negli anni dal 1943 al 1945 perché fu adibito a rifugio per gli ebrei perseguitati.

Bambini che si finsero malati, adulti che indossarono uniformi da infermiere e/o medici ed a coloro che non conoscevano la lingua italiana si disse di fingere di essere sordomuti…

Tedeschi e fascisti irrompono all’ospedale Fatebenefratelli dell’Isola Tiberina, dove molti ebrei sono ricoverati con la diagnosi «morbo di K», che è un modo convenzionale per dire «morbo di Kesserling», il comandante delle forze tedesche: così anche ci si diverte, come si può. La mamma ebrea Ajò Tedesco rifugiata nell’ospedale indossa una divisa e finge di essere un’infermiera, mentre ai suoi bambini, Luciana e Claudio, dice di tossire con forza, dato che i tedeschi temono di contrarre delle malattie”.

 Questo capitolo della nostra storia ci viene narrato nell’opera “I giusti d’Italia. I non ebrei che salvarono gli ebrei 1943-1945” (edito da Mondadori). È l’edizione italiana, curata dalla storica della Shoah Liliana Picciotto, delle voci riguardanti i «giusti» del nostro paese contenute in The Encyclopedia of the Righteous among the Nations, pubblicata da Yad Vashem nel 2004.

Né è passato di tempo e di acqua sotto i ponti da quegli accadimenti, ma il Lungotevere nei pressi dell’isola Tiberina continua ad essere vivo, soprattutto d’estate, quando i marciapiedi si colorano di stand di vario tipo, culinari o canori, e si riempiono di gente che cerca un po’ di fresco e vuole passare qualche serata in compagnia ed allegria…e l’isola continua ad essere teatro della cura degli infermi.

La vicinanza con il Ghetto ebraico suggerisce di attraversare il ponte, lasciando l’isola, e curiosare per le vie del quartiere…questo, però, è un altro capitolo e un altro pezzo della nostra storia…


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