L'isolamento israeliano e il riconoscimento dello Stato palestinese

Creato il 10 settembre 2011 da Prospettivainternazionale

Il 20 settembre avrà luogo in sede ONU la discussione sulla richiesta di riconoscimento di uno Stato palestinese presentata dall'Autorità nazionale palestinese (Anp). Al momento i dettagli della risoluzione che sarà votata dal CdS sono pochi, ma con molta probabilità i palestinesi chiederanno il riconoscimento di uno Stato disegnato entro i confini precedenti alla Guerra dei Sei Giorni con capitale a Gerusalemme est. Sin da maggio scorso è stato possibile interpretare segnali inviati dagli Stati Uniti in merito alla posizione che essi assumeranno in sede di votazione, posizione esplicitamente confermata successivamente: gli USA porranno il loro veto sul riconoscimento di un Stato palestinese.
Se le cose dovessero andare così la Palestina non sarà riconosciuta come Stato sovrano e non diventerà un membro delle Nazioni Unite. Ma lo sforzo dell'Anp potrebbe non risultare completamente vano. L'Assemblea Generale, indipendentemente dalla decisione del CdS, potrà a maggioranza dei due terzi dei membri dell'ONU riconoscere la Palestina come "osservatore permanente Stato non membro" accrescendone sensibilmente lo status politico (attualmente la delegazione palestinese è un osservatore ente) e dando un chiaro segnale in merito agli orientamenti della maggioranza dei membri della comunità internazionale. Ma anche tale risultato, per quanto simbolico, non è scontato. Ai palestinesi servono 129 voti e Netanyahu si è dato un gran da fare negli ultimi mesi per aggiudicarsi voti che sostengano la causa israeliana. L'UE voterà priva di una posizione comune, l'Italia è tra i Paesi che voteranno a sfavore della causa Palestinese.
Senza il consenso del CdS, nell'ottica del governo israeliano non cambierà quasi niente; continuerà ad essere valida la filosofia di Netanyahu secondo la quale "possono chiamarlo Stato o biscotti, per noi fa lo stesso". In realtà però c'è qualcosa di interessante da rilevare. Il processo della "primavera araba" non è ancora giunto al suo termine e per quanto il governo statunitense ci tenga a fare le debite distinzioni, la richiesta palestinese di settembre si inserisce a suo modo nel solco e non fatica a tematizzarsi nell'atmosfera generale del "risveglio dei popoli arabi". Questo, unito all'ondata di proteste e manifestazioni che stanno percorrendo Israele, porta a pensare che a prescindere dall'esito che sarà sancito dalle Nazioni Unite, c'è da aspettarsi ripercussioni politiche all'indomani del voto. Intanto Israele è in stato di allerta e ha armato i coloni.
Un secondo aspetto degno di nota riguarda il fatto che anche una vittoria simbolica conseguita dall'Anp, rappresenterebbe per Israele un ulteriore duro colpo in un periodo di forte isolamento internazionale: l'età dell'oro dei rapporti turco-israeliani che ebbe inizio con gli accordi militari del 1996 e che ha attraversato diversi momenti di tensione, in questi giorni pare giunta ad un punto di svolta e con molta probabilità (se non ovviamente) la Turchia voterà a favore della causa palestinese; in Egitto, con la caduta di Mubarak, il trattato di pace israliano-egiziano, un caposaldo della sicurezza israeliana e degli equilibri regionali, pare destinato ad essere messo in discussione da quella parte della popolazione egiziana insofferente alla collusione politica con Israele. L'esercito probabilmente si porrà a difesa del trattato, ma il dato significativo è che l'Egitto ha cessato di essere un Paese dal quali Israele non deve attendersi sorprese.
A questo punto mi vien da pensare alla perdita di mordente dell'influenza americana in medioriente e a come sia chiaro che il sodalizio incondizionato con questo Israele sia destinato ad aggravare tale situazione. In fondo l’inevitabile veto americano del 20 settembre non sarà per gli USA del tutto privo di amarezze. 
prospettivainternazionale

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