Come Tom Sawyer quando deve imbiancare lo steccato, gli autori ingannano i lettori inducendoli a compiere la maggior parte del lavoro di immaginazione. La lettura è spesso considerata un atto passivo: ci sprofondiamo in poltrona e lasciamo che la musica dello scrittore suoni nel nostro cervello. Ma non e affatto così Quando entriamo a contatto con una storia, la nostra mente macina a getto continuo.
Talvolta gli scrittori paragonano la propria opera alla pittura. Ogni parola è un tratto di colore. Parola dopo parola – pennellata dopo pennellata – lo scrittore crea immagini che hanno tutta la profondità e la vivezza dell’esistenza reale.
…Quando leggiamo delle storie, questo corposo sforzo creativo è continuamente in atto, procede instancabile al di fuori della nostra consapevolezza. Ci imbattiamo in un personaggio che è «di bell’aspetto» con «uno sguardo fiero» e zigomi «affilati come lame». E da questi piccoli indizi noi costruiamo un essere umano che non solo possiede quegli occhi (scuri o chiari?) o quegli zigomi (rubizzi o pallidi?), ma anche un certo tipo di naso e di bocca.
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La mente umana capitola impotente al risucchio di una storia forse perché il gioco di immedesimazione è in realtà un divertimento serio da morire.
Narrare è trovare qualcosa di nuovo, è chiudere gli occhi e lasciare che il particolare risalga da solo alla coscienza affettiva. E’ fermare il tempo, lasciare che qualche altro veda con i tuoi occhi…
Jonathan Gottschall, L’istinto di narrare, traduzione di Giuliana Olivero, Bollati Boringhieri, 2014.