E, tanto per non farci mancare niente, stiamo correndo seriamente il rischio di perdere un'altra occasione, fondamentale per il rilancio del Paese: la sfida per il digitale. E infatti, con tutta probabilità, Digitale Venice, il convegno sullo sviluppo futuro del web, tenutosi negli scorsi giorni, sarà ricordato più per il pessimo inglese del Premier Renzi, piuttosto che per la sua reale importanza.
Eppure, l'occasione non era da perdere, dato che il convegno aveva l’obiettivo di tracciare le linee guida, a livello europeo (infatti, tra gli ospiti, era presente anche il Vice Presidente della Commissione Europea, Neelie Kroes), per lo sviluppo delle reti informatiche e le conseguenze che tale sviluppo avrebbe nei campi dell’economia, del lavoro e della democrazia.
A livello teorico, quindi, un incontro da cui ci si saremmo potuti aspettare non dico una rivoluzione né fiumi di soldi per creare un'Unione Europa Digitale, ma era lecito aspettarsi almeno una carta d’intenti, un progetto serio. Invece, idee poche e confuse e zero fatti, da parte di chi conta. Insomma, del convegno, almeno a livello politico e programmatico, resta ben poco.
Renzi, da padrone di casa, ha lanciato due proposte cui, però, dubito fortemente l’U.E. abbia voglia di dar seguito: la creazione di un mercato unico digitale a livello europeo e la possibilità di non conteggiare gli investimenti per la banda larga, nel Patto di stabilità.
Il primo obiettivo è piuttosto utopistico: un mercato unico digitale vorrebbe dire un solo sistema di leggi che ne regoli il funzionamento ed un solo sistema di tassazione, idea molto lontana dall’Europa di oggi, dove sono ancora ben marcate le differenze, da Paese a Paese, per quanto riguarda tasse e leggi sull’economia.
Il secondo sarebbe, invece, sarebbe più fattibile ed anzi auspicabile e servirebbe a quei Paesi – Italia in primis – che, pur trovandosi in ristrettezze economiche, hanno, comunque, un disperato bisogno di investire in un settore fondamentale per l’innovazione, la ripresa economica e la crescita dell’occupazione. Mancano, però, la forza e la volontà politica di imporre un piano del genere.
Un vero peccato, perché, secondo il Censis, una burocrazia ben digitalizzata, un ecommerce più diffuso ed un uso maggiore della moneta elettronica ci permetterebbero di risparmiare qualcosa come 3,6 miliardi di euro l’anno: una bella cifra, che potrebbe essere utilizzata per cose più importanti.
Eppure, ne avremmo un gran bisogno: solo il 68% delle famiglie italiane ha accesso alla banda larga (in Inghilterra sono il 87%, in Germania l’85%, tante per citare i primi della classe) e solo il 34% utilizza la rete per rapportarsi con la Pubblica Amministrazione che, scarsamente e malamente presente sul web, costringe aziende e privati a code interminabili e salti mortali tra carte bollate, con grandi perdite di tempo e di denaro.
E che dire dello sviluppo del commercio elettronico? Pur zoppo, causa scarsa confidenza degli italiani con la rete (solo il 58% lo utilizza quotidianamente e non solo per lavoro), l'ecommerce tricolore produce qualcosa come 13 miliardi di euro annui di fatturato (dati Netcomm) ed ha previsioni rosee per il futuro, nonostante la crisi. Eppure, solo il 4% delle aziende italiane utilizza la rete per vendere i propri prodotti o servizi.
Numeri e cifre importanti, quindi, che si potrebbero tradurre in nuove imprese, posti di lavoro e sostanzioso aiuto alla ripresa economica: la torta è bella grande e succulenta, ma, naturalmente, l'Italia si guarda bene dal partecipare alla spartizione, tant'è vero che l'Agenda Digitale, l'organo creato appositamente per lo sviluppo della rete, langue per mancanza di fondi e per scarsa considerazione dalla politica (il nuovo direttore, infatti, è stato nominato solo pochi giorni fa).
Insomma, l'Italia Digitale non c'è e sembra ci sia poca voglia di costruirla: l'ennesima occasione sprecata, in un Paese che ne ha sempre di meno.
Danilo