Nel recente Global Gender Gap Report 2010 (il rapporto sulla disparità di genere) del World Economic Forum, l’Italia si piazza al 74esimo posto su 134 paesi: un risultato tra i peggiori dell’Unione Europea. Meglio di noi ci sono non solo USA o Germania, troppo facile. Ma Paesi come Lesotho, Costa Rica, Malawi, Ghana, Tanzania. Nessun media se n’è accorto. Tv e stampa parlano d’altro, riversandoci maree di culi, di tette, volgarità e amenità varie. Sepolcri imbiancati e puttanoni che discettano di aria nei talk show. E come ciliegina sulla torta un primo ministro che pensa solo a palpare il culo a quelle di loro più fragili, o più furbe. O forse tutt’e due le cose insieme. Ma a pochi e poche sembra importare: rassegnazione, stanchezza. O forse un’umiliazione troppo lunga per provocare indignazione.
Purtroppo, umiliando loro, il Paese umilia se stesso. Perché non nega loro solo opportunità di avere una vita migliore, ma si mangia il proprio futuro: i Paesi più dinamici economicamente e socialmente, che guarda caso presentano pure una maggiore ripresa della natalità, sono proprio – alla faccia dei family day all’amatriciana – gli stessi dove la parità uomo donna non è solo una parola stantia. “Migliorare la qualità della vita delle donne, migliorare la loro competitività nel mercato del lavoro, vuol dire migliorare la produttività del Paese, lavorare per il benessere di tutti.” Parole sante, ma che sembrano consumate e vecchie nell’Italia di Via Olgettina.
Il vero scandalo del 2011 non è quello di Ruby e Berlusconi: è il degrado della donna della società italiana contemporanea.
CARLO CIPICIANI