Sono 312 su 3.600 gli scienziati che hanno ottenuto dal Consiglio europeo della ricerca le “borse di studio di consolidamento” (Consolidor Grant). Si tratta di fondi per supportare progetti di ricerca in fase già avanzata e per cui reperire finanziamenti non è impresa facile. I 575 milioni di euro di budget sono stati divisi in una media che va da 1,84 a 2,75 milioni di euro per borsa. Il nostro Paese è arrivato secondo con 46 grant per un totale di circa 100 milioni di euro. La Germania si è aggiudicata per un soffio il primo posto con 48 grant, terza la Francia con 33.
L’ulteriore conferma dell’eccellenza della ricerca italiana, chiosa giustamente Silvia Bernardi nella rubrica “Più Europa” del Sole 24 ore prima di presentare l’altro lato della medaglia: delle 46 borse di studio vinte dai nostri scienziati solo 20 rimarranno in Italia, mentre un solo ricercatore in tutta l’Unione europea ha scelto il nostro Paese come meta: il bilancio è dunque di 21 grant. La Germania esporterà 15 ricercatori ma ne guadagnerà 10 rimanendo a quota 43, mentre i fondi investiti in Gran Bretagna saranno addirittura il doppio delle borse di studio vinte dagli inglesi.
A quadro ultimato, le considerazioni di Bernardi appaiono drammaticamente capovolte: “L’Italia non è un Paese per la ricerca non solo perché esporta cervelli all’estero ma perché non è in grado di attrarne di nuovi”. Come darle torto? La mancanza di strategie di supporto alle attività culturali – poco conta se di tipo umanistico o scientifico, la differenza non è poi così marcata, come è stato evidenziato nell’Incontro tra scienza, innovazione e salute promosso dal Senato – si ripercuote non solo all’interno del Paese ma anche nell’immagine che offriamo all’estero. La decisione del ministero dell’Istruzione, dell’università e della ricerca di azzerare per il 2014 i finanziamenti destinati ai Progetti di interesse nazionale non solo lascia a bocca asciutta numerosi ricercatori, ma contribuisce ad alimentare questa immagine.
I Popolari Liberi e Forti si battono nella convinzione che il patrimonio culturale, unito alla capacità e la creatività della ricerca italiana, possono costituire la chiave per il rilancio del Paese, ma per ottenere ciò occorre che siano messi nelle condizioni di esprimersi e svilupparsi al meglio, e una politica a corto raggio, ancora poco lungimirante e troppo “aziendale”, non contribuirà certo a risolvere il problema.
Marco Cecchini