“l film narra la vicenda di un gruppo di rapinatori dell’estrema periferia di Roma specializzato nell’assalto ai “quartieri alti”, in una sorta di rivalsa verso i più fortunati. La banda aggancia le proprie vittime per strada, seguendole in macchina, e poi si intrufola nelle case dei borghesi seminando il terrore. A guidare la banda è Remo Guerra (Valerio Mastandrea), un giovane arrabbiato che per un po’ continua a fare di professione il poliziotto. Ma nonostante i continui successi della banda, in Remo si affaccia una crisi di coscienza: è giusto che sia lui, rapinatore dei ricchi, a rivelare le contraddizioni della società?”
La poetica marginale, sporca, fieramente metropolitana del regista è ancora viva: si parla di fatti e personaggi di vent’anni fa solo e soltanto per costruire un sapiente espediente narrativo: parlare senza sconti delle incoerenze sociali del Paese, dove i divari civili sembrano miseramente acutizzarsi giorno dopo giorno.
Si strizza l’occhio al miglior cinema poliziesco Francese, ma il cuore batte orgogliosamente nei territori del cinema di genere (scelta implicitamente confermata dalla presenza di grandi volti del passato, come la celebre Franca Scagnetti). Con scaltrezza quasi anacronistica, non si identificano affatto i personaggi buoni o cattivi, al massimo sarà possibile distinguere gli “integrati” dagli “apocalittici”, gli idealisti dai disillusi, tutti partecipi della cupezza infinita che è la Roma dei quartieri alti. Mastandrea, così come il resto del cast, risalta totalmente in parte e lascia perdonare sporadiche elucubrazioni piuttosto letterarie di alcuni dialoghi. La fotografia curatissima di Maurizio Calvesi chiude il cerchio, a sottolineare la fiera diversità di un prodotto coraggiosamente antitelevisivo e certamente non accomodante, come conferma l’amaro epilogo.
Comparsata folgorante di Little Tony tra i vip vittime dei colpi della banda, costretto a cantare “Cuore matto” in condizioni quantomeno spinose. Grazie di esserci Caligari.
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