Non lascio mai libri a metà, ma con L'ombra del vento il feeling non c'era, ricordo che leggevo e non capivo e sbadigliavo e perdevo il filo e dovevo rileggere ed ero sempre punto e a capo. Una situazione insostenibile, di incomprensioni e domande che rivolgevo a me stessa, del tipo: perché piace a tutti e a me no? Che cosa c'è che non va tra noi, che cosa? La prima volta che ho preso in mano L'ombra del vento sono riuscita a leggere un centinaio di pagine, poi l'ho messo via, piena di sensi di colpa, perché non mi sembra mai il caso di lasciare una storia a metà. Magari, mi dico ogni volta che con un libro non c'è il colpo di fulmine fin dall'inizio, magari il bello viene dopo. E per quel dopo che ogni volta mi aspetto non lascio mai libri a metà. Col senno del poi posso dire che nel caso del romanzo di Zafón la mia filosofia di lettrice sarebbe stata azzeccata: il meglio doveva ancora venire. Ebbene sì.
Ho lasciato che L'ombra del vento prendesse un mucchio di polvere, per mesi, poi un gruppo di lettura per cui a febbraio si sarebbe dovuto leggere Zafón mi ha dato il pretesto per riprenderlo in mano.
Chi c'è ad attenderlo e dove si nasconde? Forse da Penelope Aldaya, suo unico amore le cui sorti sono avvolte dall'ombra? Forse da Miquel, suo vecchio e unico amico? O dal padre non biologico che non gli fece certo vivere un'infanzia e un'adolescenza semplici?
Con l'aiuto di Fermin, cinquantenne sopra le righe, dal passato doloroso e sconosciuto, ma dotato di un gran cuore, Daniel cerca di trovare una risposta a ogni suo interrogativo, per riuscire a ricostruire la storia sfumata di Carax, con cui sente di avere più di qualcosa in comune: la passione per le lettere, per la scrittura, una penna di Victor Hugo e un amore difficile, ostacolato dalle famiglie.
De L'ombra del vento ho amato il risvolto finale, le storie che nascondono tutti i personaggi, la cattiveria gratuita e piena di odio di alcuni accanto alla cattiveria originata dal dolore di altri. Ho amato Daniel e la sua purezza, il suo coraggio ingenuo, ho temuto il peggio e poi ho tirato un sospiro di sollievo. Ho amato Fermin, per la sua simpatia, il suo modo di parlare, la sua rinascita, la sua cultura. Ho amato il padre di Daniel, uomo semplice e pieno d'amore per suo figlio, unico pezzo di famiglia che gli resta. Ho amato Nuria Monfort, donna in carriera affascinante e sola, incapace di amare chi la ama, capace solo di amare chi non la ama. Nuria che svelerà il mistero in una lunga lettera che ho letto senza alcuna interruzione. L'ho amata per le sue fragilità, per le sue contraddizioni, per le sue imperfezioni per cui ha pagato per tutta la vita. Forse l'ho amata per compassione oppure perché, al suo posto, innamorata, avrei commesso anch'io tutti i suoi sbagli. Ho amato Bea, che lascia il percorso già tracciato e sceglie di essere felice, nonostante tutti i contro che deve affrontare.
Dopo un inizio in salita c'è mancato davvero poco che mi commuovessi, nel mezzo di queste pagine fitte fitte di nomi e intrecci che non vale neanche la pena raccontare. Eh sì, quasi quasi L'ombra del vento mi ha commossa: per i suoi segreti, per i sentimenti mai così netti, per la passione per i libri e per gli amori difficili che racconta, amori che a volte finiscono bene e a volte no.