Scusate il ritardo e l'abbandono del blog, ma il blocco ha colpito pure lui xD
Potrei dire che non avverrà, ma, una volta tanto, voglio starmene zitta e far parlare i fatti.
A voi, il 4 capitolo :*
The Phantom Manor by ~LadyShamisen on deviantART
Cap. 1 - Cap. 2 - Cap. 3
4, Di lettere e porte
Lo scalpiccio di Krissa si attenuò solo quando la ragazza atterrò sul morbido prato che costeggiava la parte settentrionale del maniero. Simile a un chiostro, il cortile era strutturato come un'enorme serra, un gigante di ferro e vetro che si accostava poco o niente all'architettura medievale del Maniero. Proprio per questo, però, era il luogo in cui la ragazza si rifugiava per ricordarsi ancora del tempo, che in quell'assurdo posto pareva sospeso.L'unica nota positiva, il non dover per forza sottostare alle rigide etichette di comportamento e sopratutto vestiario, era andata a farsi benedire da quando l'ospite tanto atteso, ma ben poco congeniale a quell'ambiente, aveva deciso di prolungare il suo soggiorno.Il motivo di quella decisione Krissa doveva ancora capirlo, ma sembravano tutti felici: i domestici avevano uno scopo diverso dal ciondolare per corridoi e stanze fingendo di lavorare, la padrona sembrava essere rinata, o forse aveva trovato un motivo per parlare invece di urlare e la signora Cavendish si era data la possibilità di dar sfogo alle sue manie di controllo tanto che neanche il marito sembrava più volerle stare intorno, scomparendo per ore e ore solo per riapparire quando la circostanza lo richiedeva.Tutti felici, peccato che, a causa della cuffietta che era diventata d'obbligo, ora la sua testa sembrasse uno di quei dirigibili che aveva visto una volta a Londra.«Non poteva tornarsene nell'oltretomba quello!?», sbottò la ragazza, fermandosi di colpo per riprendere fiato e arrivare a destinazione senza sembrare appena scesa dal letto, come in realtà era.«Krissa».Si fece condurre nella fila dal sibilo di Abigail, pregando nel vedere lo sguardo furente della signora Cavendish.«Punizione», sospirò, mentre l'amica le sistemava da dietro i riccioli della cuffietta.«Cosa è successo?», le domandò la ragazza.«La sveglia non ha suonato, di nuovo», sussurrò respirando a fatica per non far notare il fiatone, «si è rotta, di nuovo», precisò.Abbie alzò gli occhi al cielo. «Te l'ho detto, qui la tecnologia non funziona».C'erano regole a Heathbridge Manor, un'infinità di regole, ma tutte tacevano al cospetto dell'unica legge che regolava la vita del maniero e dei suoi inquilini.Tutti sanno ma nessuno parla.Guai a infrangerla, anche perché nel maniero nessuno ti dava ascolto, ma fuori da quelle mura si rischiava di essere presi per pazzi a raccontare quello che accadeva, e Krissa di certo non voleva finire in manicomio per isteria. Non certo sapendo che una volta fuori di lì avrebbe avuto abbastanza soldi per una dote, e poter così sposare il primo bamboccio che l'avrebbe mantenuta per il resto della vita.Questo era il pensiero felice che la sosteneva ogni giorno, non le faceva notare le strane ombre che la seguivano, gli oggetti spariti e poi riapparsi in luoghi del tutto errati, o quelle strane lucine che si vedevano intorno...«É assurda questa cosa», Krissa pestò il piede a terra, «siamo nel Diciannovesimo secolo, l'aeronave ha reso il mondo più piccolo, la regina Vittoria è sopravvissuta al suo sesto attentato e qui non funziona una sveglia?!», respirò forte dalle narici, «è... è...»«Silenzio», le sussurrò Abigail per tentare di calmarla«Assurdo! È...».«Basta!».«Ma...».«No!», sbottò Abigail ad alta voce ma subito si morse la lingua.«Dunque, mi sconsiglia il biscotto?» La domanda fu accompagnata da una garbata risata maschile.Jancen rimase con la mano a mezz'aria, guardando il volto di Abbie diventare rosso vivo.La ragazza fece un lieve inchino. «N-no, signore, è ottimo», biascicò senza alzare lo sguardo, «mi perdoni, la prego».«É colpa mia», disse Krissa facendo un passo in avanti.Al fianco dell'uomo, Euphemia, batté la mano sul tavolo, «Adesso basta!», sbottò, «non è certo questo il momento per...»«No, no, la prego signorina Heathbridge». Jancen le posò la mano sulla sua e chiamò Abigail che si avvicinò subito.«Tu mi ricordi molto mia sorella», annunciò Jancen sorprendendo la domestica, che si trovò a guardarlo negli occhi scuri, «anche lei si trovava nei guai... continua a trovarsi nei guai», si corresse con un sorriso, «a causa mia e di mio fratello». L'uomo si voltò verso la sua ospite che gli sorrise. «Non la punisca, la prego», le chiese con un sorriso che fu subito ricambiato.«Certo», sospirò la ragazza, «tutto ciò che vuole. Se le fa piacere, Abigail può stare al tavolo», propose già indicando alla sua domestica dove dirigersi.«Questa tavola si sta affollando, non crede?», notò il giovane uomo, spostando lo sguardo sui domestici che circondavano il tavolo.«Vuole che mandi via qualcuno?», si allarmò Euphemia, «Vuole che rimaniamo soli, forse è meglio che...»«Vorrei che mi dicesse da dove proviene il tè», la interruppe Jancen con un sospiro, «neanche in Giappone ne ho bevuti di così buoni».La ragazza sospirò a quelle parole. «Dev'essere stupenda come terra da visitare».«Più dell'India», annuì Jancen, «anche se ammetto che la trovo una società fin troppo formale, durante una cerimonia del tè ho offeso la padrona di casa...»«Come mai?», domandò Phamie ridestandosi dai suoi pensieri.«Che io sia folgorato all'istante se lo so!» sbottò con impeto Jancen scatenando le risate di Phamie e di alcuni domestici, «forse ho preso la tazza dalla parte sbagliata, oppure non l'ho pulita... non lo so! Non rida la prego, è stato peggio dei rapinatori di Praga, ma non voglio annoiarla», sorrise allontanando i ricordi.Scuotendo il capo, Euphemia gli poggiò la mano sul braccio. «No, la prego continui, non mi annoia affatto!«Ho un libro in biblioteca che parla del Giappone, però è scritto in lingua originale, così ho sempre guardato soltanto le figure, potrebbe tradurmelo lei..?», il sorriso che le illuminò il volto si spense vedendo l'esitazione di Jancen. Ritornò a sedersi composta sulla sedia, «Mi scusi, non mi rendo mai conto quando esagero. Credo sia faticoso e lungo tradurre un libro, non dovevo chiederlo».Il sole era sorto già sette volte, da quando Jancen Mallorne si era rimesso in forze, diventando così un ospite di Euphemia a tutti gli effetti. Con sollievo, non aveva più visto comparire mobili dal nulla, né tantomeno aveva potuto osservare strani movimenti di scale o lampade.Con la febbre se n'era andato anche l'ultimo bagliore di stravaganza. Del Maniero, non certo della sua padrona.«Non so leggere il giapponese, avevo un traduttore per quello», confessò infilando la mano nel taschino, «alla fine del mio viaggio, sapevo capirlo abbastanza bene, parlarlo in modo pessimo, ma leggerlo e scriverlo...», sospirò sbattendo la cassa dell'orologio sul palmo della mano, «potrebbe dirmi che ore sono? È la terza volta che questo aggeggio si ferma!»«Un quarto alle sei», rispose uno dei domestici.«Qui non funzionano molto i congegni tecnologici», cinguettò Phamie prendendo la teiera e versando la bevanda nella tazza dell'uomo, ma fu fermata da un gesto repentino di Jancen.«Il mio limite è tre tazze, signorina Phamie, e questa sarebbe la quinta», disse con un sorriso tirato, pensando alla nottata insonne che lo attendeva ma, alla vista dello sguardo rabbuiato della ragazza, sospirò.Un attimo era raggiante, un istante dopo la tristezza le velava gli occhi senza apparente motivo, e tutti aspettavano che quelle nubi si diradassero. Quando poi erano insieme, sembrava unabambina che aveva appena ricevuto un cucciolo in regalo e non sapeva far altro che soffocarlo di attenzioni.«Non posso sapere di cosa parla il libro ma, se sono luoghi che ho visitato, posso dirle cosa mostrano le immagini».Senza parlare, la ragazza si alzò sorridendo e corse via, lasciando da solo Jancen che rimase a fissare i domestici che non sembravano per nulla sorpresi da quel comportamento. Pochi istanti dopo Phamie ritornò sui suoi passi, rossa in viso, si fermò accanto a lui e sussurrò: «Perdoni le mie maniere, le mostro la strada», e lo invitò a seguirla con un gesto rigido del braccio, rivelando come fosse estranea a quei comportamenti formali.Senza parlare, l’uomo le porse il braccio e si avviò con lei nel Maniero.Jancen non era un cucciolo, nel modo più assoluto, ma senza saperne il motivo, il sorriso di quella ragazza era diventato per lui un bisogno indispensabile.Non è il respiro a rivelare la vita, ma l’attimo in cui esso si esaurisce, portando il corpo a conoscere la forza del lottare per sopravvivere; non è una persona ad avere il potere di donare la gioia o lo sconforto, ma la possibilità che essa dava di poter cambiare l’esistenza vissuta fino a quel momento.Erano queste le verità aggrappate con tenacia al cuore di Margareth Cavendish, recitate come un salmo ogni qualvolta la donna percepiva lo scontrarsi del suo Mondo contro la realtà, ma evitava con cura di ricordare a se stessa l’ultima, la più importate e veritiera, la più dolorosa.«Pensieri, moglie mia?»La donna sorrise, voltando di poco il volto verso la voce di Goddfriegh. «Pensieri», asserì stringendo il braccio dell’uomo e appoggiando la testa sulla sua spalla, lo sguardo perso nel paesaggio.«Presto finiranno».«L’hai già detto giorni fa», puntualizzò senza enfasi la donna, «non è accaduto nulla».Il sospiro dell’uomo smosse l’aria. «Non è mai stato nelle mie capacità comprenderlo, ma non ha mai fallito».La donna abbandonò il caldo abbraccio del marito e scosse la testa, e un sibilo le uscì dalle labbra: «Ha fallito nel momento stesso in cui è arrivato al Maniero».«Un imprevisto», rispose annoiato l’uomo prendendo la pipa dal taschino.«L’ha lasciato sopravvivere alla notte».«Non c’è stato istante in cui la nostra bambina non fosse con lui», un sorriso tranquillo gli distorse il volto, «era impossibile agire».«È ancora in questa casa», ricordò la donna additando l’aria mentre proprio allora sfumava la risata lontana di Euphemia.«Per ora», precisò Godd, e con uno scatto nervoso si accese un fiammifero. La mano rimase sospesa in quel gesto, mentre lo sguardo dell’uomo si fissava sul pezzo di carta tra le mani della moglie.«È ancora in questa casa», ripeté la signora Cavendish porgendogli la lettera.La fiammella si spense sulle dita di Goddfriegh che tentò di non distogliere per il dolore lo sguardo dal foglio di carta.«Cos’è?», domandò prendendo il messaggio.«Posta, mio adorato, per il nostro ospite», rispose la donna che ormai era ben lontana.Con un sospiro l’uomo strinse la lettera e si diresse verso la biblioteca dove, con non poca sorpresa, non vide nessuno.Girò lo sguardo alla ricerca di una delle due anime che era venuto a sorprendere in qualche azione sconveniente ma, invece di trovare una coppia nascosta, trovò solo un ospite indiscreto. Si avvicinò con lunghi passi verso di lui.Sentendo quella presenza, Jancen smise di colpo di accanirsi contro una porta che nonsembrava volersi smuovere di un passo, si voltò con lentezza verso il precettore e sorrise.«Credevo che la porta fosse aperta», disse con il pomello ancora nella mano.«Non lo è», rispose Godd e gli porse la lettera.«Notavo…», il sorriso di Jansen si pietrificò sul volto. Rigirò tra le mani la busta e lesse più volte il mittente.«Aspettava notizie?», tentò d’informarsi Goddfriegh mentre scandagliava l’espressione angosciata dell’altro, ma la voce spensierata di Phamie l’interruppe.«Ho trovato il libro!», disse la ragazza correndo da Jancen, «Era nel mio stud… cosa succede?»«Non posso rimanere con lei, signorina Phamie», rispose l’uomo con lo sguardo vitreo sui disegni d’inchiostro sulla lettera, «devo leggere questa lettera che mi è stata recapitata, è di mio fratello».Euphemia guardò sorpresa il precettore. «Posta?», ma, prima che potesse avere risposta alcuna, Jancen era già scomparso oltre la porta.«Credevo che sarebbe stato diverso», disse, sentendo le braccia dell’uomo avvolgerla.«La realtà non è mai all’altezza dei sogni», rispose Godd e si ricordò l’ultima tra le verità, l’unica che la moglie non voleva ascoltare, ma che era stato lui stesso a insegnarle: la paura non scaturiva dal timore delle azioni altrui, ma dalla consapevolezza che qualcosa di prezioso sarebbe stato portato via.
Continua...
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