Dei pochi titoli recuperati al festival di Rotterdam, quello che ho amato di più è il sorprendente "L'ombre des femmes" di Philippe Garrel.Ascetico, essenziale, fluido e raccolto, intriso di vita e menzogna, come se una non potesse fare a meno dell'altra. Garrel ormai gira piccoli (grandi) film che durano poco più di un'ora ma potrebbero durarne anche venti: non cambierebbe assolutamente nulla. Il suo cinema freme, tentenna, soffre, esattamente come un organismo vivente. La sua macchina da presa scrive attraverso le emozioni da cui è sorprendentemente posseduta.
Non c'è mai un ritardo del cinema sulla vita, ma una simultaneità tale da emanare una spontaneità, una freschezza, una sincerità che commuovono. Garrel è (ed è sempre stato) libero, già nel mondo, tra cose e persone...un uomo, una donna, nient'altro che una sfumatura, un gemito...poi un'altra donna che si dissolve - o meglio ancora, scompare dal film - come fosse l'istante chiave di un tracciato impossibile.
Momenti di un cinema che pare sempre più "fatto in casa", nei ritagli di tempo, pronto a catturare e amare tutto ciò che passa sotto il suo occhio. Tasselli, piccole parti di percorsi esistenziali che non sai mai dove finiranno: un film sempre al presente, completamente disinteressato a passato e futuro (che sono ombre, fantasmi, inutili fantasticherie), capace di rifiutare qualsiasi intellettualismo per gettarsi pienamente nel suo fiero, gentile bianco e nero (come l'ultimo battito cardiaco di una nouvelle vague più viva che mai).
E alla fine ti trovi perso tra le piccole cose della vita, pronto a ricordare le infinite strade parallele che non hai mai percorso. Tutto semplicemente accade, se ne va e ritorna, come un sussulto che si erge a voce gioiosa, sublime attimo d'incanto, in uno dei più bei finali del suo cinema.
Un sorriso che è un istante, eppur rimane incorniciato nel tempo.