Protagonista del film è il prof. Rainer Wenger (Jürgen Vogel), che durante una settimana di "pausa didattica" tiene un corso sull'autocrazia, lui che "era a Kreuzberg" (un quartiere simbolo della Berlino multietnica) e avrebbe di gran lunga preferito parlare con gli studenti di anarchia. Già nel primo incontro, d'altra parte, Wenger si accorge che le idee di quei giovani che ha di fronte sono errate e allora li sfida con una scommessa: dimostrare che i Tedeschi hanno dimenticato che cosa voglia dire essere assoggettati all'autorità e che, insomma, una nuova fase di potere squadristico, basato sui simboli, sull'ordine, sulla paura e sulla condivisione di poche e confusissime idee è ancora possibile, anzi serpeggia sempre nell'animo umano con una forza ben più coercitiva e contagiosa di quello che ci si aspetta.
I ragazzi in L'onda sono normali: borghesi, quando non anche benestanti, puliti, di look politically correct e davvero bellissimi, ma normali. Non c'è nulla in loro che faccia presagire in alcun modo la deriva alla quale presto sono costretti. La tragedia è dietro l'angolo, dietro le loro spalle e fin troppo a portata delle loro mani. Non occorre arrivare alle ultime scene per presagire la catastrofe, non può che franare il "gioco" del prof. Wenger (che pure appare più che consapevole della disttanza che separa la boutade didattica dalle sue ricadute esplosive e contagiose). Il bisogno di appartenenza, di riconoscersi in un'identità collettiva, la competizione con altre realtà diventano all'improvviso squadrismo e a nulla valgono gli avvisi, i dissensi: lo stesso professore - con la sua autorevolezza quasi profetica, con il suo carisma - non è più in grado di guidarne il corso, ma soprattutto di fermarlo.
Non riesce a farsi strada metacognizione (l'appropriarsi razionalmente di ciò che si è imparato, sfuggendo all'emotivismo e guadagnando in chiarezza) sulla quale conta Wenger. Uno dei messaggi più drammatici de L'onda consiste proprio nell'alternativa tra una scuola che fallisce quando dovrebbe veicolare contenuti, esperienze e competenze e una didattica che ottiene un successo spaventoso proprio laddove dovrebbero intervenire altre spinte, esigenze di natura diversa. Qui la scuola non riesce a farsi portatrice di una maturità acquisita e smarrisce il suo ruolo, facendosi focolaio o incubatrice di spinte eversive: quanto basta per riflettere sulle potenzialità del rapporto tra giovani e adulti e sulle conseguenze del ruolo del maestro.