L’Onda: travolti dall’autarchia

Creato il 16 febbraio 2012 da Dietrolequinte @DlqMagazine

Postato il febbraio 16, 2012 | CINEMA | Autore: Salvo Ricceri

Avrebbe dovuto rappresentare il fiore all’occhiello della cinematografia tedesca nel mondo, rastrellare riconoscimenti ed onorificenze in ogni festival, raduno o movie review d’Europa. Avrebbe dovuto valicare prepotentemente da un lato gli Urali e dall’altro l’Atlantico per profondere il messaggio e sostituire ogni testo scolastico, ogni immagine documentata, ogni accusa, ogni domanda, ogni singola dannata invettiva filmica sull’ascesa e sulla irrazionale atrocità dei fascismi mitteleuropei, con tutto quel che ne seguì. Avrebbe potuto, ma così non è stato! Chiamiamolo pure marketing anemico, ghettizzazione di quei giovani autori che restano invisibili anche nell’ambito del cinema indipendente, provincialismo culturale in un sistema marcatamente “americo-centrico”, la sostanza in fin dei conti è la stessa: “L’onda” (“Die Welle” il titolo originale), capolavoro del 2008 del regista tedesco Dennis Gansel (classe 1973), entra a viva forza nell’immaginario popolare come uno dei cult movie che ci ritroveremo a menzionare o riproporre nei prossimi anni in quanto esempio lucido e stilisticamente lodevole della nuova guardia cinematografica. Forza lo spettatore alla deduzione critica, allo spaesamento morale, e lo fa con il piglio degli psicodrammi topici intravisti in migliaia di altri teen-movie: diverte, intrattiene, stimola. Per approfondimento espositivo è il caso di render noto che la genesi della pellicola è stata determinata da un nome, da una data e da un luogo ben precisi: parliamo del professore Ron Jones, che nell’Aprile del 1967 alla Cubberley High School di Palo Alto, in California, ideò e mise in pratica l’esperimento sociale noto come “terza onda” allo scopo di illustrare tangibilmente agli studenti quanto sia odierna e tangibile l’attrattiva per un qualunque fascismo: date alcune premesse storico-sociali non è affatto folle auspicare l’ascesa di un regime autarchico e totalitario e di rimando operare una azione di demonizzazione e annichilimento verso tutto quel che vi è di democratico ed individualista, come avvenne nella Germania Nazista durante gli anni ’30.

Tale esperimento, che a dire il vero non fu all’epoca documentato adeguatamente, è servito da spunto per il film in questione, la cui trama si discosta ben poco da come si svolsero realmente i fatti, limitandosi ad una reinterpretazione in chiave post-moderna e agli inevitabili ricami romanzati che snelliscono e rendono attraente il decorso degli eventi: ci troviamo in una Germania linda e rigogliosa, fatta di eleganti ed avveniriste proporzioni architettoniche, strade ordinate ed aule scolastiche arredate come gli uffici del Monte dei Paschi. Quale gloria e quale trionfo! È ciò che penserete osservando i campi lunghi esterni ed interni che vi mostrano cotanto splendore: ecco, signori miei, questo è il rigore teutonico, questa è la grande Germania, questa è la democrazia! A pensarla così gli allievi del prof. Reiner Wenger (Jürgen Vogel) che durante una delle tante “settimane a tema” (in questo caso rappresentato dai due opposti paradigmi di governo, l’anarchia e l’autarchia), nonostante le remore e la sfiducia iniziali (si sente affermare ad esempio che qualunque fascismo è irrealizzabile, in quanto la Germania ne conosce bene le conseguenze), proveranno sulla loro pelle il fascino sensuale del branco che si fa corpo sociale, del corpo sociale che si innalza a popolo eletto e persegue con ostinata violenza la propria auto-affermazione prevaricatrice: in due parole, stato totalitario.

Wenger suggerisce metodi di postura, di controllo della respirazione durante gli interventi in classe, di ordine formale eseguito tramite l’identificazione in una “divisa” comune (suggerisce a tutti di indossare una camicia bianca), che renda simili annullando le distanze anche tra “gruppi-classe” contrastanti (profondo e veritiero lo spezzone dove vediamo che, all’alunno che suggeriva quanto la divisa fosse “roba da fascio”, viene risposto che anche l’odierna civiltà democratica occidentale segue il suo decorso tramite l’imposizione di “divise non ufficiali ma ufficiose”, come il completo da impiegato o l’abbigliamento di appartenenza a seconda che i gruppi siano emo, punk o goth e chi più ne ha più ne metta). Da qui all’esaltazione per il nuovo “gioco di gruppo” il passo è breve: i giovani dell’intero istituto (di ogni estrazione ed età) si lasciano sedurre dall’iniziativa, il verbo si diffonde, si creano saluti particolari per gli adepti e simboli di riconoscimento da spargere in tutta la città tramite graffiti ed adesivi. In una manciata di minuti il film passa da una marmaglia di teenager benestanti convinti che “la Germania di allora era composta da ignoranti pecoroni, la gente non sapeva, il nazismo è merda”, ad un vasto e coeso gruppo di giovani in camicia bianca che si appoggiano a vicenda, organizzano feste, promuovono eventi sportivi e tengono comizi nelle aule, il tutto ovviamente riservato ai discepoli dell’Onda e a discapito dei “diversi”, dei non-appartenenti, dei rinnegati che hanno solo espresso pareri differenti o semplici perplessità.

A farne le spese sarà Karol (Jennifer Ulrich), che diventerà man mano l’icona di un antifascismo militante, costantemente osteggiato ed insidiato da una autorità più grande: lei per prima, a fronte di minacce e scontri frontali con i suoi stessi compagni di classe, capirà quanto in là si sia spinto il progetto, e lei per prima farà circolare i primi volantini di denuncia, allertando lo stesso Wenger sulla sua sempre più marcata impotenza riguardo ad un movimento che ormai si sta autogestendo. Senza accorgersene, nel giro di pochissimi giorni, i ragazzi dell’Onda sono diventati una feroce espressione di sistema totalitario basato su valori reazionari e sull’annientamento del “diverso”, una splendida autarchia nata e cresciuta in seno ad una democrazia Europea, quale appunto la Germania dei nostri tempi. Anche al professor Jones, per quel che ne sappiamo, sfuggì di mano la prova sperimentale di socio-dinamica, ma l’epilogo totalmente inventato della pellicola voglio risparmiarvelo, per regalarvi il gusto evergreen del colpo di scena.

Concludo ricordando semplicemente l’importanza educativa che risiede potenzialmente in questo capolavoro, importanza che a mio parere non dovrebbe essere svalutata o ignorata soprattutto da quegli enti che si dichiarano depositari ultimi della nostra formazione, come uomini e come cittadini: che venga pure proiettato nelle aule magne dei licei, nei saloni delle facoltà italiane ed europee, a fronte o magari a supporto dei drammoni sull’atrocità del totalitarismo che in parecchi casi ansimano e si dimenano senza rendere nemmeno lontanamente la rappresentazione dello scenario contestualizzato di quell’epoca. La visione è consigliata alla stregua di un obbligo morale, nei confronti di ciò che è stato e nei confronti di ciò che potrebbe arrivare. D’altra parte, all’inizio del film, tra le cause scatenanti dell’autarchia politica, si enumerano la disoccupazione, la recessione economica, l’insoddisfazione sociale: che l’Italia stia asfaltando la strada ad un nuovo ipotetico reich?!


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