Tuttavia la cosa che ci interessa è che il vertice Pds in quei mesi amava presentarsi e parlare come futuro partito di governo invece che come una formazione destinata all’eterna opposizione dal fattore K e non perdeva occasione di accreditarsi come decomunistizzato. Quindi quando D’Alema cominciò a parlare lo fece in qualità di aspirante statista e lo dico senza ironia, visto il livello politico di quei tempi, inimmaginabile per i trentenni di oggi abituati alla avvilente e nauseabonda spazzatura del renzusconismo. Apro il cassetto dei ricordi, non perché mi urga ricordare le 30 righe dettate quella sera attraverso un enorme telefonino verde ramarro della Swatch, ma per rispondere a tutti quelli che ancora non vogliono arrendersi a una lucida analisi della traiettoria di Tsipras, ma che soprattutto sono ormai abituati alla coincidenza fra sinistra ed eurismo come se fossero entità inseparabili.
Ebbene quella lontana sera D’Alema mise in guardia i compagni sull’euro dicendo che la moneta unica (per la quale era imminente la firma dei trattati) rischiava di essere troppo forte per il sistema produttivo italiano e di rivelarsi col tempo un disastro la nostra economia, che questo fattore era quello importante e non certo quello di una improbabile concorrenza sul dollaro. Certo non occorreva essere un genio per capirlo, ma quell’affermazione – soprattutto in quel momento – suonò molto forte per gli eredi di un Pci che già nel 1978, per non mandare all’aria l’effimero compromesso storico, si era obtorto collo arreso allo sme (serpente monetario europeo) il quale introdusse una forte rigidità di cambio fra le divise europee, rigidità che finirono per pagare i lavoratori con l’abolizione della scala mobile e nel 92 aveva pagato l’intero Paese con una svalutazione drammatica della lira del 24%. Già allora furono i lavoratori a pagare il conto dell’integrazione europea. E dire che lo Sme permetteva comunque un’oscillazione del 6% sui cambi e naturalmente prevedeva lo sganciamento dal serpente stesso. Già allora la sinistra più avveduta che purtroppo era insieme anche la più cinica immaginava a cosa si andava incontro, ma – è questo il vero orrore – non sapeva nemmeno immaginare nulla diverso dopo la scomparsa dei punti di riferimento storici. Ed è purtroppo ancora così.
Chissà come venne in mente a D’Alema di prefigurare in quel momento un pericolo ancor più grande, anche se ormai l’europeismo dei padroni era l’unica cosa rimasta dopo anni di cenere e farsi interpreti compassionevoli del governo del denaro pareva l’unico modo di sopravvivere. Chissà cosa indusse il futuro lider maximo ad abbandonare per un attimo la “brutalità della prudenza” come dice Pasolini nelle Ceneri di Gramsci, confessando “che l’ora è confusa e noi come perduti la viviamo”. Così francamente non è una colpa l’ingenuità di aver creduto ai paradossi di Tsipras, ma certamente lo è quella di aver interiorizzato la brutale prudenza al punto di non riconoscere gli errori di fondo, i disastri politici a cui essa ha portato e ancorarsi ad essi con futile disperazione .