L’Orchestra Città Aperta e i miracoli. Anche nei non-luoghi

Creato il 03 ottobre 2011 da Massimoconsorti @massimoconsorti
L’Orchestra Città Aperta è un ensemble di assoluto valore. Nel suo genere è una delle migliori formazioni esistenti al mondo e, discuterlo, significa seguirla distrattamente quasi fosse un vecchio juke-box. Eppure non gracchia. È la seconda volta che abbiamo il piacere di ascoltarla dal vivo. “Accompagna” i film muti di Charlie Chaplin e li nobilita con una classe e uno stile che non si riscontrano facilmente. Da nessuna parte. Timothy Brock è un eccellente direttore al quale la famiglia Chaplin ha affidato il compito niente affatto facile di ridare un’anima alle colonne sonore composte da Charlot. Ma più che un’anima, Brock le fa rivivere nella loro incredibile, attuale freschezza. Due anni fa fu “La febbre dell’oro”, uno spettacolo incredibilmente emozionante, messo in scena alla Fortezza di Civitella del Tronto. Quest’anno è toccato al “Il Circo”, sicuramente non uno dei capolavori di Chaplin (definizione della critica cinematografica dell’epoca e anche di una parte di quella attuale) ma, inspiegabilmente, il film di Charlot preferito da Federico Fellini. E scusate se è poco. A seguirlo si capisce perché, ma non ci sembra sia né il caso né il momento di sottolinearne i motivi. Quello che ci interessa in questo contesto è parlare sì del film ma strettamente connesso alla musica che lo ha accompagnato dal vivo. Sincronia perfetta. Sembra facile ma non lo è. “Pieni” veri e non solo il volume che aumenta (non tutti se lo possono permettere). E poi la delicatezza tenera di una musica che avvolge quasi fosse una calda coperta di lana scozzese. Durante la proiezione (meglio tacere sugli aspetti tecnici con la quale è stata realizzata), abbiamo avuto la sensazione che le immagini e la musica si fossero fuse in un tutt’uno. Parlare delle prime senza tenere in considerazione la seconda sarebbe come parlare di Kubrick senza le perfette sincronie dei suoi film, perché il lavoro dell’Orchestra Città Aperta è perfetto. Dire che si limita ad “accompagnare” un film ci sembra riduttivo, visto che lo penetra in ogni fotogramma e di ogni sequenza ne disegna il contrappunto con le note. Questa è una delle rarissime occasioni nelle quali mettere a tacere per meno di un’ora l’apparato critico maniacale che ci perseguita da anni, non ci sembra un peccato né una omissione di giudizio, perché di fronte all’assoluto non si può che stare zitti. Descrivere lo stato d’animo che ci ha accompagnato nella lunga sequenza di Charlot nella stanza degli specchi, sarebbe come descrivere la felicità di un bambino di fronte al giocattolo che ha chiesto alla Befana, sa che arriverà, che lo avrà, ma quando se lo ritroverà finalmente fra le mani sarà tutta un’altra storia. Charlot acrobata, giocoliere, clown, factotum per fame è un divertimento unico e il fatto che faccia ridere ancora oggi la dice lunga su cosa significhi la parola “arte”, quella cosa destinata a restare senza che il tempo ne modifichi il senso e ne sminuisca il valore. Se c’è un appunto da muovere al tutto è la scelta del luogo, meglio sarebbe dire del “non luogo” della esibizione. Il teatro comunale di Teramo è un posto freddo, inanimato, quasi asettico e di una bruttezza che l’abbandono rende quasi una mostruosità architettonica. Nonostante tutto è bastato che si spegnessero le luci, che sullo schermo apparissero le prime immagini del film, che la voce “gracchiante” di Chaplin iniziasse a cantare che perfino quel non-luogo ha perso molto del suo imbarazzante anonimato. Quando poi Timothy Brock ha dato l’attacco all’orchestra, l’opera si è compiuta e, alla fine, il teatro non ci interessava più. Miracolo della perfezione.

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