L’orco cattivo esiste davvero. Non è solo un personaggio del folclore e delle fiabe, vive in mezzo a noi, il più delle volte mimetizzato. Basta riferirsi alla cronaca nera per rendersi conto che il villaggio globale di cui siamo cittadini è pieno di orchi senza cuore. Non hanno necessariamente l’aspetto dell’ogredi Perrault né la simpatia di Shrek. Sono persone apparentemente comuni ma dal cuore di tenebra. Ieri, ad esempio, ho letto una storia raccapricciante accaduta a Messina. Si è scoperto che due bambini, orfani di madre e con un padre tossicodipendente, affidati ai nonni, subivano da loro una violenza sessuale sistematica. Il nonno e la nonna non si limitavano ad abusare dei bambini, un maschio e una femmina di sette e otto anni, ma con la complicità di un conoscente li “offrivano” in cambio di denaro ad altre persone. Secondo quanto è stato accertato dalle indagini, iniziate nel 2009, i piccoli venivano anche fotografati durante i rapporti sessuali. Gli esami medici hanno confermato gli abusi e i tre orchi cattivi sono stati arrestati con l’accusa di pedepornografia e riduzione in schiavitù. Di storie orripilanti, l’Italia è piena. Le varianti sono tante ma il comune denominatore è unico: la cattiveria. Ora, come nel caso del “povero negro” Kabobo, l’assassino di strada di cui ho parlato nel precedente post, ci sarà sempre qualcuno che giustificherà gli orchi cattivi. Siamo circondati da psicologi, sociologi, uomini politici in cerca di visibilità e idioti generici che di fronte al male evocano mille attenuanti. Chiamano in causa le circostanze, l’ignoranza, la miseria, il bisogno e quant’altro possa giustificare le azioni disumane. Basta! Non se ne può più del falso buonismo, della solidarietà ottusa, del ricorso ai sotterfugi mentali e sociali che nello stemperare le colpe dei carnefici non fanno altro che accrescere la pena delle vittime. Di fronte alla malvagità abbiamo il dovere di riconoscere che l’essere umano è la bestia di gran lunga più “bestiale” mai apparsa sulla faccia della terra. Ma siamo nel XXI secolo non ai tempi dell’uomo di Neanderthal; giustificare comportamenti primitivi, dettati da un istinto brutale, equivale a legittimarli. E qui, necessariamente, mi pongo la questione dei “delitti e delle pene” sollevata nel Settecento dall’illuminista Cesare Beccaria, che delineò un teorema generale per determinare l’utilità e congruità della pena che la società deve infliggere a chi commette un reato. Egli invocò la certezza della pena e scrisse, fra l’altro, che la pena dev’essere “pronta e necessaria”. Ecco, cominciamo col dire che la pena dev’essere certa. Come ha lasciato scritto nei suoi taccuini Leonardo da Vinci “chi non punisce il male, comanda che si facci”. Questa certezza è venuta meno nel nostro sistema giudiziario. La lettura del libro di Beccaria, che conosco bene per averci fatto un esame ai tempi dell’università, ci offre molti spunti di riflessione che in qualche modo stemperano l’ira derivante dalla lettura delle notizie più scabrose, quelle che fanno venire il prurito alle mani. Confesso che essendo io un nonno, quando ho saputo ciò che hanno fatto i due miserabili nonni siciliani ho provato un conato di vomito e ho desiderato averli fra le mani. Per farne cosa? Come cristiano dovrei rispondere “per porgere l’altra guancia” ma forse non sono più un buon cristiano, sono diventato un uomo disgustato che la sete di giustizia rende virtualmente capace di impalare quei due miserabili e il loro complice, alla maniera del conte Vlad di Valacchia o crocifiggerli su una strada, come facevano i romani. Fortunatamente, permane un rimasuglio di cristianesimo nel mio animo, per cui resto contrario alla pena di morte. Non è giusto condannare a morte gli orchi e nemmeno congruo. Gli orchi devono rimanere in vita e pagare il fio delle loro nefandezze. È troppo comodo morire!Ecco dov’è il vero problema. La nostra società è scandalosamente indulgente coi cattivi e lo è maggiormente quando commettono delitti clamorosi, che eccitano la morbosità dei mass media e della gente. Quale pena verrà inflitta al malvagio e laido terzetto di Messina? Saranno condannati a passare qualche anno in una cella, a carico dei contribuenti? In questo caso, godranno di vitto e alloggio gratuiti, per tacere di altri benefici e vantaggi. Magari qualcuno scriverà un libro a loro nome e guadagneranno dei quattrini per avere rovinato la vita di due bimbi innocenti. Così vanno le cose nel nostro Paese che ha rinnegato il Diritto, in cui la Legge si accanisce sui giusti e strizza l’occhio ai reprobi. Non può andare sempre così, non deve. Mi auguro quanto meno che una volta in carcere i nonni stupratori siano umiliati, sodomizzati tutti i giorni e pestati a sangue. Chissà che non imparino qualcosa grazie alla legge del karma. Ma è la soluzione migliore? Certo che no. Il contrappasso è una vendetta sterile. Meglio applicare il principio della restituzione. Cosa possono mai restituire i malvagi che tolgono l’innocenza, la dignità e spesso la vita agli altri? Oh, qualcosina la possono restituire, se non altro alla società. Ad esempio, possono passare il resto dei loro giorni lavorando duramente per fare ammenda della loro scelleratezza. Parlo di lavori forzati, sia chiaro. Anche Beccaria riconosceva che “un uomo privo di libertà, divenuto bestia di servigio, ricompensa con le sue fatiche quella società che ha offesa”. Gli esseri umani privi di coscienza morale, che si comportano peggio delle bestie (le quali, è utile ricordarlo, non agiscono per malvagità ma solo per soddisfare i loro bisogni primari), meritano di essere sottoposti al lavoro punitivo, di diventare cioè “bestie di servizio”. In Europa il lavoro forzato è stato abolito, mentre è ancora vigente in alcune nazioni. È giusto? Personalmente, sarei dell’idea di reintrodurlo. Sarebbe un magnifico deterrente per i delinquenti d’ogni genere e per gli orchi in particolare. Ve li immaginate gli orchi costretti a lavorare dodici ore al giorno in un campo arido, sotto il sole e la pioggia? Presumo che certe pulsioni gli passerebbero. Non invoco i gulag sovietici o i laogai cinesi. Non sono così crudele. Pur tuttavia, se dipendesse da me offrirei una lunga villeggiatura in una cava o in miniera a chi ha agito senza scrupoli né remore morali. Invece? Troppo spesso i malvagi, difesi da avvocati che confermano il detto che chi si assomiglia si piglia, trovano comprensione e finiscono nella strutture protette e nelle comunità anziché nelle fogne dove meriterebbero di marcire. L’orco cattivo è un problema serio e va punito severamente, senza pietà. Non si può avere pietà di chi distrugge fisicamente e spiritualmente la vita altrui, di chi rende schiavo un suo simile, di chi si comporta come un predatore. La debolezza verso il male lo rafforza, così come il perdono non può essere incondizionato, e la pietà verso i malvagi è un’ingiustizia verso i buoni. Scusatemi ma io la penso così. Che la pietà non vi sia di vergogna, cantava Fabrizio de André. In effetti, qualcuno dovrebbe vergognarsi di come funziona la macchina della giustizia. Ahinoi, la nostra società è così fragile e malata d’avere trasformato il pietismo nella propria insegna sfilacciata e i palazzi di giustizia in un covo di campioni senza valore.