di Fabrizio e Giovanna
Fonte: Il Mulino del Tempo
Nel 1129, a circa dieci anni dalla loro fondazione, le unità combattenti templari erano ancora poche decine e la prima esperienza di combattimento fu sostenuta contro l’atabeg di Damasco Tai Mulk-Buri quale rappresaglia per le razzie e i saccheggi che attuarono per conto di Guglielmo di Bures. Tale battesimo delle armi, che vide i Templari uscirne piuttosto malconci e disonorati per non aver rispettato sia gli ordini del re che i loro principi, insegnò loro che l’indisciplina e la disobbedienza erano un facile strumento di vittoria per il nemico. Lo schieramento franco in Terrasanta, fatta eccezione per le truppe reali, era più simile ad un’orda disorganizzata che ad un vero e proprio esercito, quindi la presenza degli Ordini militari (Templari, Ospitalieri e più tardi Teutonici) rappresentò un’innovazione nella maggior parte dei casi fondamentale per il buon esito delle battaglie.
I Templari erano superiori al resto dell’esercito crociato per la disciplina e l’esperienza, che li distingueva a tal punto da farli divenire l’ossatura degli eserciti cristiani in Terrasanta. La disciplina era ferrea, il Cavaliere Templare non era un combattente singolo, ma un combattente di massa, i vari reparti erano inquadrati e rispondevano ad una precisa strategia di battaglia. Erano previste pene severissime per chi usciva dai ranghi, per chi non obbediva all’ordine della carica, per chi abbandonava il gonfalone e per chi usciva senza permesso dal campo di battaglia. Questa caratteristica faceva si che i loro stendardi bianchi e neri fossero un sicuro punto di riferimento per intere formazioni di combattenti disorientate nella confusione della battaglia. L’esperienza maturata dall’Ordine distingueva nettamente i Templari dal resto dei Crociati, in questo contesto essi riuscirono infatti ad apprendere le tecniche di combattimento dei musulmani, riuscendo ad adattarsi ad un tipo di guerra molto diverso da quello che si praticava in Europa. In Europa gli eserciti erano soliti combattere in campo aperto con schieramenti contrapposti bene allineati, in Oriente invece la cavalleria araba Fatimida attaccava il nemico con rapide incursioni di arcieri in sella ai loro veloci cavalli. È quindi facilmente intuibile l’importanza rivestita da reparti veloci di cavalleria in grado di spostarsi rapidamente e caricare prontamente il nemico. Questo nuovo modo di combattere fu sperimentato per la prima volta nel 1147 durante uno spostamento da Costantinopoli ad Antiochia, da un contingente di Templari agli ordini di Everardo di Barres inquadrato negli eserciti di Luigi VII. In questo episodio i 170 cavalieri dell’Ordine del Tempio contribuirono in maniera determinante a salvare l’esercito cristiano messo in crisi da una errata manovra di Goffredo di Roncone che fece scomporre le truppe in tre tronconi.
L’esperienza e la disciplina dei Templari si dimostrò l’arma vincente in una situazione divenuta ormai disperata.
L’organizzazione militare: i reparti e le strategie
Come già specificato nel precedente post, gli eserciti franchi in Terrasanta entrarono per la prima volta in contatto con tecniche di combattimento completamente nuove. I capi militari dell’esercito fatimida, ben consci del fatto di non avere a disposizione una fanteria in grado di resistere all’urto di una carica di cavalleria pesante, generalmente rifiutavano lo scontro frontale cercando di isolare la cavalleria dalla fanteria in modo tale da evitare una loro manovra coordinata. L’atteggiamento dei musulmani non permetteva all’esercito crociato di esprimere appieno la sua forza che si esplicava in particolar modo con la potenza della cavalleria. Questa situazione costrinse i comandanti franchi, in particolar modo quelli degli ordini militari, ad adattarsi al nuovo terreno di battaglia creando dei reparti veloci e disciplinati che fossero in grado di spostarsi rapidamente da un punto all’altro dello schieramento.
I Templari impararono molto dai loro alleati, ma ancor di più dai loro nemici, furono infatti i primi a considerare i turcopoli, una cavalleria leggera composta da arcieri, quale componente fondamentale del loro schieramento. I turcopoli (che significa figli dei Turchi) non utilizzavano la tecnica del tiro veloce a cavallo tipica dei Mameluchi, ma erano piuttosto molto simili alla cavalleria leggera bizantina e a quelle professioniste degli eserciti islamici che evitavano le cariche frontali. “I figli dei Turchi” al servizio dei Templari, pur essendo armati alla leggera,combatterono affianco della cavalleria pesante armati di scudi rotondi e spade corte. La struttura dell’Ordine del Tempio era l’ossatura della sua potenza e in essa vigeva una ferrea gerarchia. Il Maresciallo del Tempio era il responsabile dell’addestramento e dell’arruolamento di cavalieri, sergenti e scudieri, provvedeva al reperimento dei cavalli e al necessario equipaggiamento,infine comandava le operazioni militari in caso di assenza del Maestro, del luogotenente e del siniscalco.
Il Maresciallo era anche il responsabile del gonfaloniere; quest’ultimo veniva scelto tra i sergenti,quindi non era un cavaliere nonostante questo incarico fosse tra i più prestigiosi dell’intero Ordine, anche i cavalieri di scorta al Baussant erano sergenti. L’unità di base della compagine templare era la lancia o conrois formata da venti-trenta uomini, si dispiegava con una fila di cavalieri pesantemente corazzati davanti,due file di sergenti armati più alla leggera immediatamente dietro e diversi scudieri ancora più arretrati che chiudevano la formazione. Il comandante era il commendatario che a differenza degli altri templari era armato di una lancia dotata di un pennoncino arrotolato con i colori bianco e nero del Tempio. Questa caratteristica permetteva al commendatario di dirigere la sua formazione nel caos della battaglia.
Prima della carica vera e propria i turcopoli entravano in contatto con il nemico saggiandone la consistenza e individuandone i punti deboli e la sua disposizione sul terreno. In queste occasioni i turcopoli dimostravano la loro fondamentale importanza perché dalla loro azione dipendeva l’effetto della carica e lo sfondamento delle linee nemiche. Dopo la carica il combattimento si frazionava in innumerevoli duelli individuali, a quel punto intervenivano i sergenti a piedi e gli scudieri che combattevano insieme alla cavalleria proteggendo il cavaliere dal disarcionamento ed eventualmente agevolandone la risalita a cavallo. La fanteria veniva anche impiegata per neutralizzare il temibile arciere arabo a cavallo o attaccandolo sul fianco destro dove era più vulnerabile durante la cavalcata, o nel momento in cui scendeva da cavallo per avere un tiro più preciso.
Le armi dell’ordine
La regola di San Bernardo e i Retraits (regolamenti) erano molto rigidi riguardo all’equipaggiamento dei Templari, però capitava spesso che i vari reparti non rispettassero l’ordinanza e arrivassero ad utilizzare anche armi conquistate ai musulmani durante le battaglie, come scimitarre e pugnali a lama ricurva.
Gli ordini militari, in particolare quello del Tempio, erano le uniche entità in Terrasanta che potessero permettersi un cavaliere completamente equipaggiato. Le loro armerie erano solitamente ben fornite e rappresentavano sempre un sicuro riferimento a cui attingevano i principi franchi in caso di necessità.
Per la cavalleria pesante e per i sergenti a cavallo la lancia era l'arma principale, per secoli fu usata come giavellotto, ma la cavalleria medioevale la rese "la punta del cavaliere" lanciato alla carica. La lancia era costituita da un'asta in legno, solitamente in frassino, lunga sino a 3,5 m. e da una punta in ferro a forma di cono o di foglia e poteva pesare anche fino a 5 kg. Appena al di sotto della punta era dotata di un pennone che distingueva i commendatari dagli altri cavalieri. Nel XIII sec. l'accorciamento delle staffe e il sollevamento degli arcioni resero più sicura la posizione del cavaliere rendendolo un tutt'uno col cavallo e aumentandone di molto la forza di penetrazione della lancia. Quando durante uno scontro si spezzava una lancia, i Templari utilizzavano le armi per il combattimento corpo a corpo.
La spada era l'arma nobile del cavaliere, rappresentava il suo status, lunga più di un metro, poteva pesare oltre i 2 kg. Per il Templare, guerriero e monaco, la sua forma a croce ne faceva un simbolo ideale. Il modello più diffuso era quello alla "Normanna" con lama larga e robusta, veniva utilizzata a due mani con colpi fendenti, raramente si colpiva di punta se non nel caso si volesse danneggiare lo scudo o la corazza. L'effetto del colpo era affidato alla robustezza della spada, alla sua lama e alla forza del guerriero. Dentro il pomo dell'impugnatura venivano spesso custodite reliquie di santi che dovevano proteggere il cavaliere in battaglia. Quest'arma era considerata dal suo possessore una sorta di oggetto di culto al quale dava spesso il nome come se si trattasse di un essere vivente.
Quando il combattimento entrava nella fase ravvicinata i Cavalieri del Tempio, come tutti gli altri combattenti medioevali, utilizzavano le cosiddette "armi da botta", tra le quali ricordiamo la scure danese, utilizzata soprattutto tra le truppe di origine nordica, la bipenne, utilizzata dai tedeschi e la mazza d'arme, simile al martello d'arme e, come quest'ultimo, veniva utilizzata indifferentemente da tutti i cavalieri.
Due armi che aumentarono nel corso del tempo sempre più la loro importanza furono archi e balestre, al punto tale da costringere gli ordini militari a costituire dei reparti armati esclusivamente di tali attrezzi. Nei secoli successivi alle Crociate, archi e balestre, insieme alle compagnie di ventura, decretarono la fine della cavalleria, ma già dal periodo della guerra in Terrasanta diventarono determinanti. Fu molto utilizzato l'arco corto di modello inglese che però difettava di potenza e precisione. La balestra fu introdotta in Oriente dalle truppe Fatimide che ne avevano appreso l'uso dalla fanteria siriana ed irachena, è molto probabile che gli stessi fatimidi lo trasmisero ai crociati. Nonostante il divieto della chiesa, che definiva le balestre strumenti del maligno, tutti gli eserciti cristiani ne fecero uso per via della sua potenza e della sua grande forza di penetrazione. L'unico limite di quest'arma fu la ridotta cadenza di tiro, il suo meccanismo di ricarica consentiva soltanto due tiri al minuto contro i dieci dell'arco corto.
L'equipaggiamento di difesa passiva
L'armatura, l'elmo e lo scudo
La difesa passiva dei guerrieri era affidata alle varie tipologie di armature, elmi e scudi. La prima forma di corazza utilizzata dal cavaliere templare fu la cotta di maglia, costituita da una miriade di piccoli anelli di ferro uniti fra loro in modo tale da formare una sorta di lunga tunica che arrivava fino alle ginocchia chiusa in vita da un cinturone in cuoio. La struttura della cotta di maglia rimase praticamente immutata fino alla 2^ metà del XIII sec. - inizio XIV sec., quando fece il suo esordio il primo modello di armatura vera e propria, concepita come una macchina anatomica che ebbe la sua massima espressione nelle armerie italiane. La maggior parte dei principi europei preferirono le armature italiane perchè univano la funzionalità all'eleganza, ma i Templari purtroppo non fecero in tempo ad indossarla perchè il 13 novembre del 1307 papa Clemente V ordinò l'arresto di tutti i cavalieri del Tempio, ma di questo parleremo diffusamente nei prossimi interventi. La cotta di maglia non era sicuramente comoda, quindi per evitare il contatto diretto sulla pelle, soprattutto quando la temperatura non era molto elevata, i cavalieri sotto di essa indossavano una tunica imbottita in cuoio che aveva anche la funzione di attutire i colpi. La tecnica costruttiva della cotta di maglia, o usbergo, era già nota ai romani, nel Medioevo fu semplificata fino a renderla tanto economica da essere adottata dalla quasi totalità dei combattenti; gli anelli potevano essere inseriti in due modi, a maglia semplice o a grana d'orzo .
Il camaglio, utilizzato per la protezione del capo, era una sorta di cappuccio costituito da anelli metallici di minori dimensioni. L'equipaggiamento era completato da manopole, gorgere, gambali e calzari.
La testa era ulteriormente protetta dall'elmo che nel tempo subì un'evoluzione, si passò, infatti, dalla forma conica alla normanna, all'elmo vero e proprio, tipico del XIII sec. L'elmo era un casco d'acciaio dotato di fessure per la vista e per la respirazione, raggiungeva anche il peso di due chili, per tale motivo i cavalieri lo indossavano un attimo prima del combattimento. I Templari utilizzarono l'elmo di forma pentolare che, nella sua evoluzione, diventò la celata delle prime armature integrali del primo quarto del '300. Per evitare che l'elmo si muovesse troppo, impedendo al cavaliere di combattere in maniera ottimale, fu utilizzato il bacinetto, una sorta di calotta in cuoio imbottito che aveva anche la funzione di attutire i colpi del nemico.
Anche lo scudo subì la sua evoluzione, inizialmente era di forma a goccia con un'altezza di 1,5 metri e una larghezza di 60 centimetri, essendo in legno rinforzato con un'intelaiatura di ferro, risultava scomodo e pesante, di conseguenza, all'inizio del XIII sec. fu ridotto di circa la metà e la sua forma assunse l'aspetto di un pentagono allungato avente gli angoli arrotondati. Tra la fine del '200 e i primi del '300 fecero la loro comparsa degli scudi di forma triangolare di dimensioni ridotte, molto comodi e maneggevoli. La cavalleria leggera e la fanteria utilizzarono invece scudi di forma rotonda, ancor più leggeri e maneggevoli di quelli dei cavalieri.
L'evoluzione da una forma all'altra delle armature, degli elmi e degli scudi fu sempre graduale e con forme intermedie che ne anticipavano il passaggio.
Le immagini e le notizie sono tratte da Ennio Pomponio, I Templari in battaglia