Si è svolta una settimana fa a Cochabamba, in Bolivia, la 42esima assemblea generale dell’Osa, l’Organizzazione degli stati americani, una riunione serrata, caratterizzata dalle forti critiche giunte dal blocco dei paesi dell’Alba che hanno tacciato l’organismo come anacronista ed espressione degli interessi di Washington. Pomo della discordia, la Commissione e la Corte Interamericana per i diritti umani, accusate di favorire esclusivamente le politiche degli Stati Uniti e di non mantenere l’indipendenza che sono chiamate a manifestare. Portavoce del malessere è stato l’unico presidente invitato (oltre a quello di casa), l’ecuadoriano Rafael Correa, che ha insistito sulla necessità di una riforma. Paradossale, secondo lui, la situazione degli Usa che, pur rifiutandosi di firmare la Convenzione sui diritti umani, ospitano nel proprio territorio le sedi continentali delle istituzioni che dovrebbero garantire l’autonomia ed il rispetto dei diritti più elementari. Correa ha riservato lo stesso trattamento alla stampa che, con il patrocinio della rispettiva commissione dell’Osa, dice rappresentare esclusivamente gli interessi di determinati ed influenti gruppi di potere. La battaglia di Correa contro la stampa data da lungo tempo e, pur con le sue legittime pretese, non può che far sorgere dubbi sulle sue reali finalità.
L’Osa, formata nel 1948, è l’organismo più antico del continente americano. Sin dai suoi albori è stata oggetto di critiche, soprattutto in quei momenti più bui della Storia recente, che videro l’America latina scenario di atrocità e conflitti. Negli ultimi anni ha dimostrato ancora una volta la sua fragilità sul caso di Cuba (espulsa nel 1962 e mai riammessa) in cui il veto imposto da Stati Uniti e Canada ha spezzato la concordia continentale e durante la crisi honduregna seguita al golpe del giugno 2009, quando la mediazione dell’Osa si rivelò inefficace. Spogliato di ogni prestigio, l’organismo si è dimostrato incapace pure di risolvere innocui litigi di confine, come quello sorto nel novembre 2010 tra Costa Rica e Nicaragua sulla sovranità dell’isola fluviale di Calero.
Al termine dei lavori, i delegati –grazie alla mediazione del Messico- hanno approvato la mozione per la riforma sui diritti umani chiesta da Ecuador e Venezuela, prendendosi però un tempo prudenziale da sei a nove mesi per deliberare sulla questione. Gli Usa continuano a dare pieno appoggio all’Osa e sostengono che le critiche provenienti dal gruppo dell’Alba sorgono come rappresaglia per la denunce fatte dalla Commissione per i diritti umani sulla situazione in Venezuela. Da qui verrebbe la mozione di sfiducia, che è anche un atto di propaganda per la Celac, la Comunità degli stati latinoamericani e caraibici fondata sul finire dello scorso anno a Caracas proprio come alternativa all’Osa.
Lo svolgersi dell’Assemblea ha in pratica rivissuto i temi chiave del summit delle Americhe di metà aprile ed ha riproposto le posizioni inconciliabili tra nord e sud del continente, suscitando l’indignazione dell’inviata statunitense, Roberta Jacobson, che ha abbandonato l’assise senza aver potuto pronunciare il suo discorso. La polemica ha fatto passare in secondo piano quelli che avrebbero dovuto essere i temi centrali dell’incontro, la sicurezza alimentaria e l’approvazione della Carta sociale delle Americhe, ma non la mozione che ha assegnato all’Argentina il pieno appoggio alla sua richiesta di sovranità sull’arcipelago delle Malvinas. Rimane a mani vuote invece l’anfitrione, la Bolivia, che ha ricevuto un no alle sue pretese di sbocco al mare a scapito di una parte del territorio cileno. Infine, Venezuela, Ecuador, Nicaragua e Bolivia hanno deciso di abbandonare il Tiar, il trattato di assistenza reciproca che obbliga i paesi latinoamericani ad intervenire nel caso di una minaccia militare esterna. D’ora in avanti, faranno da soli.
L’Organizzazione degli Stati americani: dalla crisi verrà il declino o la rifondazione?
Creato il 11 giugno 2012 da EldoradoPossono interessarti anche questi articoli :
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