L’origine dei buchi neri supermassicci

Creato il 20 gennaio 2015 da Media Inaf

Gli astronomi non hanno ancora una risposta definitiva sui processi che riguardano la formazione dei buchi neri supermassicci. Oggi, però, uno studio condotto da alcuni ricercatori del Center for Astrophysics di Harvard tenta di far luce su quelli che vengono definiti “siti cosmici” da cui avrebbero origine questi mostri del cielo. I risultati, pubblicati su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, aiuteranno gli scienziati a comporre il puzzle che permetterà, si spera, di descrivere l’evoluzione di questi oggetti esotici che risiedono nel cuore delle galassie.

Il processo che riguarda la nascita e l’evoluzione di un buco nero non può essere paragonato a quello di piantare un seme nel terreno e aggiungere dell’acqua. Gli oggetti più massivi si possono pensare come dense aggregazioni di materia, letteralmente come dei “pozzi senza fondo”: qualsiasi cosa che vi cade dentro non è più in grado di fuoriuscire. I buchi neri possono avere varie dimensioni. Quelli più piccoli, che hanno una massa alcune volte superiore a quella del Sole, si originano dalle esplosioni stellari. Quelli più grandi, che possono raggiungere milioni o miliardi di volte la massa solare, risiedono nei nuclei di quasi tutte le galassie ed evolvono insieme ad esse nel corso del tempo.

Nonostante non sia del tutto chiaro come avviene quest’ultimo processo, gli scienziati ritengono che durante le fasi iniziali dell’evoluzione galattica i buchi neri giochino un ruolo importante e agiscano come una sorta di “sito cosmico” attorno al quale si addensa il materiale. Inoltre, durante le fasi successive del ciclo vitale delle galassie, i buchi neri possono alimentare eventualmente getti di materia man mano che il gas e le polveri si accrescono lungo una struttura a forma di disco che li circonda. Queste fasi attive e avanzate dell’evoluzione dei buchi neri possono addirittura “accendere” le galassie facendole diventare estremamente brillanti, come avviene nel caso dei quasar la cui luminosità è tale da renderli visibili da enormi distanze astronomiche.

La domanda è: da dove provengono questi oggetti esotici, in particolare quelli presenti nell’Universo primordiale? Secondo la teoria dell’evoluzione stellare, la morte esplosiva di stelle massicce, un fatto del tutto normale, può durare diverse centinaia di milioni di anni mentre la stella evolve fondendosi con il gas circostante. Successivamente, nella “incubatrice cosmica”, cioè in quella regione dello spazio da cui emergerà il buco nero, si accrescerà del materiale che determinerà nel corso del tempo la formazione di un oggetto supermassiccio. Tuttavia, non è ancora chiaro se esista tempo a sufficienza affinché si abbia questo processo. Infatti, i ricercatori hanno tentato per diversi anni di riprodurre con le simulazioni numeriche ciò che succede durante il collasso gravitazionale del gas, senza ottenere particolari successi.

Oggi, Fernando Becerra, Thomas Greif, Lars Hernquist e altri colleghi del Center for Astrophysics (CfA) hanno proposto un altro meccanismo che riguarda la frammentazione del gas primordiale. In altre parole, gli autori hanno simulato il collasso gravitazionale del gas in tante regioni minori, che sono molto più massive, circa 10 mila masse solari, di quelle che caratterizzano i resti delle esplosioni stellari. Si tratta di una simulazione tridimensionale molto dettagliata realizzata con una precisione sorprendente, sia in termini di dimensioni spaziali che di densità del gas. La simulazione (vedasi video) mostra che una volta che la nube di gas diventa otticamente spessa alla radiazione, essa si accresce distribuendosi lungo una struttura a forma di disco che circonda la protostella principale, la cui massa iniziale è di circa 0,1 masse solari. Il tasso di accrescimento e i processi radiativi che fanno raffreddare il gas catalizzano la frammentazione del disco causando la formazione di un piccolo sistema protostellare costituito da 5-10 membri. Dopo circa 12 anni, le interazioni gravitazionali perturbano il disco ed espellono temporaneamente la protostella principale dal centro della nube di gas. Alla fine della simulazione, si osserva il collasso gravitazionale di un gruppo secondario, che si trova alla distanza di circa 150 unità astronomiche da quello principale. Se questo secondo gruppo evolve analogamente al primo, allora la nube di gas può trasformarsi in un sistema binario. Ad ogni modo, l’elevato tasso di accrescimento sia del gruppo primario che del gruppo secondario suggeriscono che il processo di frammentazione non rappresenta un ostacolo significativo che porterà in seguito alla formazione di almeno un buco nero supermassiccio dopo qualche milione di anni.

Questi risultati rappresentano comunque un passo avanti che fa luce sulla natura di quei siti cosmici da cui avranno origine le galassie.


MNRAS: F. Becerra et al. – Formation of massive protostars in atomic cooling haloes

arXiv: Formation of massive protostars in atomic cooling haloes

Fonte: Media INAF | Scritto da Corrado Ruscica