L’ospite inatteso

Da Mizaar

Il legame affettivo che lega ancora Walter Vale, professore di economia nel Connecticut, alla moglie defunta, pianista,  si esplicita attraverso le sterili lezioni di piano che il demotivato professore prende, credendo di poter apprendere la difficile arte di cavare note dal pianoforte che era stato della donna amata. La vita di Walter Vale si divide dunque tra l’università, dove stenta a trovare una ragione del suo operato, e la solitudine compatta delle ore passate in casa, delle cene solitarie in compagnia della musica riprodotta – quella sì suonata ad arte – del pianoforte di sua moglie. La malattia di una collega lo costringe a rompere gli schemi in cui si è costretto da tempo e, per sostituirla ad un convegno, rientra a New York, dove aveva abitato con la compagna di vita e dove conserva ancora un piccolo appartamento nel Greenwich Village. Arrivato a destinazione si rende conto che la casa che sapeva disabitata, in realtà è occupata dal siriano Tarek e dall’africana Zainab, ospiti abusivi, introdotti in casa tramite un mediatore senza scrupoli. Lo sconcerto iniziale dei tre dà luogo, in Walter, all’accettazione e alla proposta, rivolta ai ragazzi, di rimanere fino a quando non hanno trovato una soluzione. Inizia così una convivenza vivifica per Walter che ritrova interesse e curiosità verso la vita. Capisce attraverso il suono di Tarek, suonatore di djembe in un gruppo jazz, che la sua vera inclinazione alla musica è quella del ritmo tribale dei tamburi di un gruppo spontaneo di suonatori a Washington Square. Walter offre ospitalità in cambio di vita, finalmente. Ma la vita ha canali stranissimi di espressione e diventa complicata quando il caso sollecita le complicazioni. É per uno sfortunato caso, dunque, che Tarek viene arrestato perché immigrato clandestino e viene portato in un centro di detenzione nel Queens. Walter fa tutto quello che è nelle sue possibilità per aiutare il ragazzo, ospitando anche Mouna la mamma di Tarek, che intanto ha saputo dell’arresto. Il finale ricalca la misura del film, con le dovute considerazioni su un sistema di accoglienza americano che non accoglie più, e sulle tante tenerezze che rendono il film stesso un ottimo film. Che naturalmente è da vedere.


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