L’ultima bottiglia

Creato il 15 settembre 2014 da Iltondi @iltondi

Genere e numero approssimativo di battute: drammatico, 4.000 battute (racconto scritto originariamente per l’edizione 2013 del Premio Letterario Santa Margherita, lo trovare anche qui in versione PDF)

Oggi Piero ha deciso di portare una cosa fino in fondo, non gli capita spesso. Forse mai. La vuole scolare tutta quella bottiglia di rosso, un vino abbastanza pregiato ma a lui quello importa poco, anzi mica la sa riconoscere la differenza tra un vino pregiato e uno che sa di tappo. E mentre ascolta una sonata al pianoforte di Bach e non sa nemmeno chi è, perché la sua finestra è aperta e affaccia sul cortile di una scuola di musica, sta lì gettato su una poltrona distrutta dalle unghie del suo gatto e continua a bere direttamente dalla bottiglia. Il gatto è uscito, vaga sui tetti tutto il giorno e poi torna la sera, non sempre, magari nel frattempo ha rimediato qualcosa da mangiare in giro.

Quella bottiglia ora sta per finire, e la cosa peggiore per lui è che dopo non ce ne sarà un’altra. Gli erano rimasti solo questi soldi, precisi precisi, è andato giù dal vinaio, nemmeno al discount dove va di solito, e ha chiesto cosa ci poteva comprare con quella somma, il vino più buono. Una cosa non dura molto, se ti piace. Ma questa giornata è fatta di distrazioni, di pensieri da non pensare, di rumori che arrivano balordi senza permesso e poi si siedono sulla poltrona con lui, a fargli compagnia. Tutte le finestre sono aperte, è una tarda mattinata di fine estate e si sta bene con quest’arietta qui, fresca, sincera, che non cova l’intenzione di fregarti, di farti prendere un raffreddore se rimani in maniche corte. Allora Piero si mette ad ascoltare e adesso sente lo sfrigolare della cipolla, la sua vicina che prepara sempre roba buona, poi sente due bicchieri che fanno cin cin, i due del piano di sotto, che sembrano sempre più innamorati e invece lui se la fa con l’amante, Piero l’ha sentito al telefono che sussurrava parole dolci e segrete. Poi punta gli occhi dirimpetto, c’è una famiglia laggiù che sta mangiando, sente le voci che gridano che è ora di pranzo, via su, tutti a tavola, e in un attimo ognuno è seduto e pronto a inforcare il cibo. Antipasto di crostini misti e affettati. Piero dà una sorsata al rosso.

Quando ero piccolo mio padre mi portava allo zoo. Non mi piaceva, puzzava, e gli sguardi rassegnati degli animali mi comunicavano una tristezza indicibile, disumana, un senso di malinconia misto a disgusto. Non l’ho mai detto a mio padre, lui si fissava a guardare le giraffe, le esplorava curioso, con sguardo di bambino. E io guardavo lui.

Il primo piatto sono tagliatelle al ragù. Piero non può capire se sia un normale ragù di carne, oppure cinghiale o lepre, da qui non ci riesce. E dà un’altra piccola sorsata alla bottiglia, non rimane un granché dopo quella.

Da ragazzo facevo delle bravate. Non che ci provassi gusto, a dire il vero non so neanche perché le facessi. Era come se volessi urlare ma la voce mi si strozzava in gola, volevo farmi vedere ma gli altri non mi vedevano. Mio padre non mi vedeva. Allora la rabbia mi si aggrumava nelle braccia e nelle gambe, la violenza era l’unico modo per farla uscire, e io la lasciavo andare.

Il secondo piatto è un bel vassoio di arrosto e patate al forno. A Piero pare di sentire l’odore della carne calda sotto il naso, e le patate che invitano a morderle, così morbide, dentro però nascondono un’anima bollente. Dà un’altra sorsata, l’ultima, ogni goccia rimasta.

Ho provato una strana forma di piacere quando è morto mio padre. Alcuni potrebbero dire che questo piacere si chiama odio, odio che ha raggiunto il suo punto di arrivo e non può andare oltre. Ma no, io dico che non è così. Qualche volta il dolore indossa una maschera e parla per noi, con parole, gesti ed espressioni che conosce solo lui.

Piero guarda ancora la famiglia che pranza, è il padre che osserva. Si avvicina pure alla finestra e si sporge un po’, quanto è possibile. Lo vede mentre fa un sorriso al figlio, è una cosa piccola e impercettibile, ma lui se ne accorge. Stringe le mani sul bordo della finestra. Poi c’è un refolo di vento che gli accarezza i capelli in disordine. E un miagolio che proviene da dietro.



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