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L’ultima pagina: In ogni caso nessun rimorso di Pino Cacucci

Creato il 16 gennaio 2012 da Mickpaolino

L’ultima pagina: In ogni caso nessun rimorso di Pino Cacucci

All’inizio del secolo scorso la società francese è stata scossa da un ondata di violenza nei confronti dei più abbienti e delle forze dell’ordine operata da sparuti gruppi di criminali che avevano come obiettivo comune l’intento tipico dei movimenti anarchici: rovesciare l’ordine costituito.

In un momenti storico in cui si faceva sempre più netta la separazione sociale tra i più ricchi e la classe povera, in cui per la maggior parte della popolazione la fame e la miseria erano la realtà quotidiana, i metodi fin troppo repressivi della polizia a difesa dei diritti della classe benestante esacerbarono il clima già teso causando la nascita di numerose cellule di resistenza che si differenziavano nei modi ma non negli ideali.
Intorno al 1910 un caso particolarmente spinoso per la polizia della Francia fu quello della Banda Bonnot.

Jules Bonnot era cresciuto a Lione in mezzo ad ogni tipo di sopruso da parte dei gendarmi con la miseria come punto di partenza e come probabile destinazione futura; bollato come agitatore e persona pericolosa egli finirà presto non solo ad ingrossare le fila degli illegalisti anarchici francesi ma anche a diventarne un simbolo.
La miseria, da sola, non basta – dice Bonnot a Sir Arthur Conan Doyle, in un colloquio avvenuto durante gli anni in cui gli fece da autista – la rovina comincia quando si vuole andare un po più in là del vicolo, e ci si accorge che laggiù, oltre il fango del tuo quartiere, c’è il mondo. E allora finisce che uno si convince di un sacco di cose, probabilmente tutte sbagliate.

Pino Cacucci ricostruisce la sua storia romanzandola quel tanto che basta per far prendere al personaggio un po di spessore: non stiamo parlando di un folle criminale nè di un novello ladro gentiluomo ma solo di un uomo che aveva inseguito per tutta la vita la felicità illudendosi che non servisse altro per vivere.

L’avevo trovata quella felicità e avevo tutto il diritto di viverla, non me lo avete concesso e allora è stato peggio per me, per voi, peggio per tutti – scrive Bonnot in un quaderno prima di essere colpito a morte nell’Aprile del 1912 – Dovrei rimpiangere ciò che ho fatto? Forse. Ma non ho rimorsi. Rimpianti si, ma in ogni caso nessun rimorso…

Ne esce fuori una storia molto triste popolata da personaggi che interpretano e forse rappresentano il meglio e il peggio di quanto la società del secolo poteva permettersi, si va dal poliziotto integerrimo ma leale al magistrato dalla volontà ferrea e dai metodi illegali, dall’attivista politico che usa la carta stampata all’illegalista che mette mano alla pistola con estrema facilità, dal malvivente che non ha mai avuto altre alternative (perchè non gliele hanno concesse) al criminale folle e imprevedibile.
Il tutto con un unico denominatore di fondo. L’odio.

Tu credevi di aver raggiunto il culmine, fino a pochi attimi prima – riflette amaramente tra sè e sè Bonnot – e adesso scoprivi che di posto, per l’odio, ce n’era sempre, a dismisura, un’immensità di odio vasta quanto l’universo. Era infinito, l’odio. Solo l’amore, pensavi, solo l’amore ha limiti.

Un odio che rappresenta l’unica ragione di vita, l’unica alternativa alla sottomissione, l’unica arma da contrapporre al potere dello Stato, della Polizia e della società dei ricchi. Cacucci non vuole disegnare Bonnot come un criminale senza cuore e ci riesce perchè al lettore più attento non sfuggiranno le sfumature di un carattere magari risoluto, impulsivo ed aggressivo ma votato alla praticità dell’azione piuttosto che all’ignavia delle parole.
Ma Bonnot non era neanche un animale ignorante.
Era vero che da un certo punto della sua vita in poi l’odio non lasciò più spazio per altro ma è anche vero che il punto di partenza era la ricerca di una vita normale e felice da uomo libero, tant’è vero che tra le sue letture preferite c’erano le poesie di Emile Verhaeren e gli scritti del filosofo Max Stirner che confluivano tutti in un unico ideale: la libertà per essere tale non deve essere una concessione altrui.

Jules Bonnot, prima di diventare un criminale ma, anche dopo e durante, ha sofferto tanto e il dolore – scrive Cacucci – ha un confine, una barriera. Oltre quel limite ci sono solo due strade: il rifugio nella follia o la gelida indifferenza.

In ogni caso nessun rimorso non è un libro per tutti, bisogna capire, magari criticare ma sicuramente assimilare quello che la storia di Jules Bonnot e di tutti i personaggi che ne hanno fatto parte rappresentano in un disegno più ampio, in una prospettiva più allargata della società in cui vivevano loro e in cui viviamo noi adesso, perchè a dispetto dei decenni trascorsi sono cambiati nel modo e nella visibilità ma i soprusi restano ancora; l’illusione del progresso e della ricchezza ha offuscato gli occhi della gente impedendole di vedere che il confine tra gente ricca e gente povera è sempre lì, netto ed inesorabile così come i privilegi dei primi e gli stenti dei secondi.
Bisogna leggerne e scriverne di più di libri di questo genere poichè la nostra generazione, e quelle che verranno dopo hanno bisogno di vedere come il coraggio di un individuo che lotti contro un ordine imposto si riflette sulla storia dell’umanità, hanno bisogno di capire quando è il momento di lottare, sia solo a parole o sfruttando i media e gli strumenti odierni, affinchè la libertà non sia una gentile concessione altrui ma un sacrosanto diritto.



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