Basato sulla storia e sulle memoria di Ernesto Fioretti, autista suo e di altri attori e registi nel jet set romano, Veronesi sforna la sua personale versione di amarcord all'amatriciana.
La vita di Fioretti non è assolutamente straordinaria ma riflette in modo esemplare gli alti e i bassi di un Paese la cui storia è filtrata attraverso vicissitudini di ogni tipo che di rimbalzo fanno sentire la loro influenza sulla vita del protagonista.
Il problema del film è che se funziona abbastanza come bozzetto di una vita normale, anche buffa se vogliamo e quindi a tratti divertente, non funziona assolutamente come specchio della storia italiana dalla fine degli anni 60 a oggi.
I raccordi con la storia ufficiale sono grossolani e artificiosi, il personaggio di Giacinto impersonato da Ricky Memphis , pur abbastanza riuscito come simbolo di arrivismo selvaggio e senza scrupoli, il classico italiano, archetipo e prototipo del furbetto del quartierino, appare e scompare troppe volte nel film, acquistando quasi la valenza di un diavolo tentatore che ogni volta porta Ernesto sulla cattiva strada e lui ogni volta ci casca. Un po' troppo scioccamente.
In fondo la storia di Ernesto è un'incompiuta per mancanza di coraggio, lui è destinato a essere quell'ultima ruota del carro come sempre gli ha detto un padre pragmatico e manesco, che lo strappò troppo presto alla sua vita da ragazzino.
Se Veronesi riesce nel bozzetto , quello in cui fallisce è nella visione generale di un film ambizioso ma irrisolto, con una chiusura faticosa e un andamento rapsodico non sempre convincente.
Pur avendo un Elio Germano nel motore, il Dustin Hoffman di Cinecittà che , pur esagerando dimostra la sua bravura nonostante le orride parrucche sotto le quali viene nascosto.
Veronesi ha questa specie di Ferrari nel motore eppure lo tratta come un'utilitaria al servizio della solita commedia all'italiana, provinciale e un po' ottusa.
Forse anche lui è un po' un' ultima ruota del carro....
( VOTO : 5 / 10 )