Si sa che il bagnasciuga è un terreno infido per le italiche imprese. Sarà per quello che con provvidenziale lungimiranza un sottosegretario, indovinate un po’, del Pd, Baretta ha deciso di tagliare la testa al toro dandolo in concessioni quasi perenni ai vari signori delle spiagge, stabilimenti e aziende piccole e grandi della sdraio e dell’ombrellone, in modo che diventino ufficiali per non dire istituzionali il pagamento obbligato per la tintarelle, il bagno in acque per lo più inquinate, il castello di sabbia, i racchettoni e il passaggio tra i lettini degli schizzinosi bagnanti a pagamento.
Aveva tentato di infilare la sua proposta nella legge di stabilità, forse dopo non essere riuscito a annetterla acrobaticamente all’improbabile pacchetto di varie e eventuali della legge sul femminicidio o suio provvedimenti per le emergenze, catastrofi e terremoti, che si vede che per lui potrebbe essere una catastrofe elettorale non accontentare le imprese della balneazione organizzata, deluse dall’insuccesso del tentativo dell’ultimo governo Berlusconi di cedere gli arenili per 99 anni e di quello Monti, che interpretava le liberalizzazioni come rendere le spiagge ancora meno libere, per favorire la lobby del secchiello e della paletta.
Così per ridare vigore al ratto delle spiagge, per compierne in maniera compiuta l’espropriazione a mano lesta delle aree demaniali, il sottosegretario Baretta ha deciso di mettere a punto non uno di quegli emendamenti lampo da risuscitare e far passare più o meno surrettiziamente in sonnolente assemblee parlamentari, no, no, ha proprio messo mano a un provvedimento dedicato che possa svincolare l’Italia dai fastidiosi lacci e laccioli della direttiva Bolkenstein. Di Baretta possiamo almeno dire che è più esplicito e trasparente di Monti, che voleva conseguire gli stessi risultati con una funambolica interpretazione della stessa legge e che risolse poi il problema con la rituale proroga.
L’ipotesi di lavoro che l’ardimentoso sottogretario ha proposto agli interessati, che naturalmente non sono i cittadini, ma albergatori, proprietari e operatori degli stabilimenti (30 mila imprese di settore), addetti del comparto, uno dei più manifestamente familistico, di quelli per i quali non occorre nemmeno laurearsi in chimica o passare l’esame di notai per proteggersi l’eredità, è stata presentata come un oculata e puntiglioso tentativo di togliere le concessioni automaticamente e spesso tacitamente rinnovate ai “soliti noti”, per avviare un mercato libero e moderno , come piace all’unico grande partito degli interessi privati che detiene saldamente il potere: il tratto di arenile che comprende stabilimenti balneari, bar, cabine e ristoranti verrà sottratto al controllo del demanio per diventare patrimonio dello Stato che lo cederà, a prezzo calmierato, favorendo con un’opzione di acquisto ad hoc chi la concessione ce l’ha già. L’arenile più profittevole diviene così possesso solo temporaneo di uno Stato senza sovranità, impoverito, ricattato dall’esterno e dall’interno, spodestato anche dei suoi organi di controllo e sorveglianza, corruttibile e impotente, il resto invece verrà assegnato tramite aste, arbitrarie già sulla carta perché, per razionalizzare il sistema, per “semplificarlo”, a partecipare saranno gli stessi operatori una volta diventati proprietari delle aree su cui insistono gli stabilimenti. E non sarà certo dietrologico sospettare che tra gli aspiranti alle nostre spiagge, ci possano essere soggetti esteri, più o meno esotici interessati a occupare questo redditizio settore.
Fa bene il sottosegretario ad accelerare i saldi, meglio allestirli in autunno, quando le vacanze sempre più povere degli italiani sono lontane e si può confermare che i soggetti interessati alla messa all’incanto delle spiagge non sono loro. Ma faremmo bene noi a opporci, anche sui social network sui quali il Baretta cresciuto agli usi dell’Azione Cattolica e della Cisl sta conducendo una moral suasion per convincere il colto e l’inclito della bontà della sua proprosta. Cui si deve dire di no per i soliti motivi, che vanno dalla persuasione morale, quella si, che i beni comuni non si mettono in vendita per favorire interessi privati, alla persuasione forse cinica che nel nostro Paese le aste e gli appalti sono le procedure meno trasparenti che si possano ipotizzare, monopolio di lobby apparentemente legali, quando non della criminalità. Senza contare che la privatizzazione, come è ampiamente accertato, deprime gli investimenti, soprattutto quelli di qualità.
La direttiva Bolkestein è un dispositivo europeo promosso per dischiudere sia pure cautamente il settore dei servizi a nuovi soggetti non ancora presenti nel mercato. E infatti la prima procedura d’ infrazione che aveva accolto l’ex commissario alla concorrenza al suo insediamento a Palazzo Chigi, ammoniva l’Italia e la richiamava al rispetto della direttiva proprio per spezzare il regime di monopolio degli ombrelloni, imponendo di mettere a bando le concessioni demaniali alla loro scadenza. Ma si sa, l’Europa per i suoi interessati ammiratori è come la Costituzione, si può girare e rivoltare a proprio piacimento, chiamarla in causa per poi tradirla. Per una volta però si è dotata di qualche esempio di successo di gestione, sostenibile e democratica, di questo particolare bene comune, detenuto impropriamente e illegittimamente da concessionari e proprietari pronti a difendere l’esclusiva con polizie private, guardianie e soprusi. In Francia la Conservatorie du Littoral dal 1975 garantisce la conservazione di oltre 1.200 km di coste con la collaborazione e la responsabilità condivisa la risposta positiva di amministrazioni locali e imprenditori privati. Le coste spagnole e portoghesi, dopo anni di spregiudicata cementificazione e occupazione privata del demanio, sono diventate un laboratorio sperimentale di tutela e godimento del bene comune da parte delle comunità locali.
Mentre da noi l’esempio che viene in mente è più che la costa romagnola, la Sardegna sottoposta all’attacco dei nuovi saraceni, sceicchi e visir invitati dai compagni di merende del padrone di villa Certosa.
E allora non ci resta che fermare loro, i pirati all’arrembaggio dei beni comuni, sulla linea del bagnasciuga.