Milos Forman è ormai un affezionato dei film in costume. Dopo aver conquistato il mondo intero e, ovviamente, anche 8 Oscar con Amadeus, negli ultimi anni ha lavorato con lentezza ma non ha sminuito il valore della sua filmografia. La sua ultima fatica risale al 2006 (anche se sono seguiti due lungometraggi cechi meno conosciuti in Italia) e torna a parlare di epoche passate. Questa volta ambienta la sua vicenda nella Spagna scossa dalle paure verso gli eretici dove però anche gli echi della Rivoluzione francese iniziano a farsi sentire. La caccia alle streghe, così come agli ebrei, ai bestemmiatori è aperta e la recrudescenza dei metodi di confessione si inasprisce. A finire nelle mani dell’inquisizione è l’innocente e giovane Inés Bilbatua, rea di non aver mangiato maiale a cena e sospettata quindi di praticare un’altra fede. Costretta al giogo della corda confesserà l’inconfessabile unendo così in modo indistricabile i destini di chi le sta accanto. Inés è infatti modella di Goya, all’epoca pittore reale alla corte di Spagna ma allo stesso tempo vicino alla gente grazie alle numerose incisioni chi giravano per il popolo e che denunciavano i modi barbari e incoerenti della Chiesa. Proprio di un suo ritratto si innamorerà Lorenzo Casamares, inquisitore feroce che approfitterà della debolezza e della posizione sempre più disagiata della ragazza per soddisfare i suoi impulsi, finendo per lasciarla incinta. Inés è anche figlia devota di una ricca famiglia di commercianti che cercherà invano qualunque soluzione pur di riaverla a casa, arrivando a torturare lo stesso Lorenzo per fargli capire cosa si è disposti a confessare pur di evitare il dolore. Dopo questi fatti, l’uomo sarà costretto alla fuga e tornerà a sconvolgere le vite di tutti con i furori francesi, prodighi a portare il verbo della Rivoluzione con tanto di armi e violenza, portando sangue e paura nelle strade spagnole.
Goya in tutto ciò funge da spettatore, da uomo nonostante tutto semplice che non comprende gli anni bui che la sua patria sta vivendo. Il suo sguardo attonito, i suoi tentativi di cambiamento e di denuncia sono quelli di un uomo devoto alla verità che nemmeno la sordità assoluta raggiunta in tarda età sapranno fermare.
Con lui lo spettatore si identifica e osserva le sevizie e il dolore che credi diversi hanno portato negli anni, le torture e le condanne insensate che hanno rovinato vite e famiglie intere.
Il finale, meraviglioso, in cui i destini di tutti questi personaggi si scontrano a loro insaputa in una piazza gremita dalla gente, pone Goya come osservatore privilegiato ma impotente.
Milos Forman con tutto ciò non fa un film denuncia, perché anni e modi sono fortunatamente passati, né un film biografico, perché per quanto attendibile il suo resoconto non si sofferma solo sul pittore, anzi. Il suo è un film storico, complesso e strutturato e per questo facilmente definibile sia di denuncia che biografico. Se la Chiesa e noi non dobbiamo dimenticare l’insensatezza di certe estreme azioni, così non va dimenticata l’opera di un Grande che era prima di tutto politica. Grazie all’interpretazione ottima di Natalie Portman (capace di trasformarsi incredibilmente), Javier Bardem e Stellan Skarsgård, L’ultimo inquisitore diventa così una pellicola assolutamente imperdibile, per celebrare più di un maestro.
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