L'ultimo lo trovarono in estate, sotto il passo del Monscera

Creato il 24 dicembre 2010 da Fabiocasa


Sono nato a Premosello ancora nell’altro secolo. Avevo 14 figli ed il 15 che stava per arrivare; di lavoro poco, qualcosa in montagna a fare legna, ma poca roba. Le bocche da sfamare erano tante davvero. Per guadagnare qualche soldo viaggiavo con la bricolla in spalla. Non ero un capo ma un semplice spallone, guadagnavo poche lire per ogni viaggio, ma bastavano per vivere. Si viaggiava anche d’inverno ed eravamo attrezzati: il bastone lungo, le racchette di legno per la neve e le scarpe con i chiodi per il ghiaccio. Facevamo anche passi alti, oltre i 2500m, come il Cornera, che era pericoloso, ed il Mondelli. Ma per quelli della mia zona si preferiva la Bognanco. A quei tempi c’erano le fonti, che però davano lavoro a pochi e quindi non era difficile fare brigata e viaggiare in tanti. Si partiva da Bognancodentro, si faceva il Monscera e si arrivava a Gondo, dove si caricava e si tornava per la stessa strada; se c’era la finanza si tralasciava il Monscera e si faceva la bocchetta del Gattascosa e si scendeva a valle con il carico.
Il mio ultimo viaggio parte una sera di ottobre da Bognanco: eravamo in otto. Faceva freddo, tanto freddo per essere autunno. Il cielo era grande sopra di noi. Di notte è veramente scuro il sentiero e bisogna conoscerlo bene per non sparire per sempre inghiottiti da qualche dirupo. Aveva nevicato parecchio per essere ottobre e vi erano più di due metri di neve; il colore della notte era magnifico, un po’ tetro ma splendido. Il Pioltone, così lo chiamavamo noi perché il nome svizzero era troppo difficile, Camoscellahorn, quasi impronunciabile, ci veniva incontro imponente, aguzzo e carico di neve da metter paura. Silenziosi e smarriti attraversiamo il passo del Monscera, impauriti dalla sagoma cattiva di quella montagna; sappiamo che mancano ancora molte ore di difficile cammino per arrivare a Gondo e fare il carico. La discesa è più difficile e complicata della salita perché vai di fretta, quasi corri per arrivare prima che faccia giorno, per non essere visto dalla Finanza che controlla sempre di più i passaggi di noialtri. Giunti dal nostro fornitore, carichiamo quello che ci serve nella bricolla, zucchero, caffè, tabacco trinciato; chiusa bene prendiamo a riempire il sacchetto per le nostre famiglie, lo ripieghiamo sopra la bricolla e partiamo quando comincia a fare buio. In molti ci dicono di stare attenti che la montagna non promette niente di buono, ma noi dobbiamo rientrare, dobbiamo portare il carico a chi ci da i soldi per sopravvivere; le nostre famiglie ci aspettano per mangiare. Risaliamo a fatica il pendio svizzero che ci porterà al passo del Monscera o alla bocchetta del Gattascosa: solo quando saremo sotto decideremo quale fare per rientrare in Italia. Quella notte la luna faceva paura certi colori del cielo non li avevo mai visti; i passi della mattina prima quasi non si vedono più, ma noi dobbiamo andare avanti, dobbiamo affrontare la neve ed il ghiaccio, carichi di merce e di paura, ma anche di coraggio. Giungiamo a poche decine di metri dalla bocchetta quando all’improvviso viene giù tutto; i primi di noi vengono presi dalla montagna e non riescono neppure a scappare; noi quattro corriamo indietro cercando l’inutile salvezza, ma i primi due vengono raggiunti subito dalla valanga; il terzo si ripara dietro un albero, ma viene portato via come tutto quello che ci circonda. Riesco a trovare una balma nella quale ripararmi; non serve a molto in quanto in breve un’altra parte della montagna si stacca e mi travolge, non riesco a muovermi e comincia ad imperversare la bufera, fa freddo ho molto fresso, mollo la bricolla e mi riparo la testa con la giacca; le gambe sono completamente ricoperte dalla neve.
Mi troveranno solo a fine primavera con la paura o forse il terrore scritto nel volto e le mani giunte a pregare il signore che salvi i miei figli. Gli altri sono stati sepolti in Svizzera: un falegname di Bognanco è andato dentro a costruire le casse per la sepoltura.

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