L’ultimo miliardo – Perché i Paesi più poveri diventano sempre più poveri

Da Bloglobal @bloglobal_opi

di Vincenza Lofino

Titolo: L’ultimo miliardo
Sottotitolo: Perché i Paesi più poveri diventano sempre più poveri e cosa si può fare per aiutarli
Autore: Paul Collier
Editore: Editori Laterza
Anno di pubblicazione: 2009 per la collana Economica Laterza
Titolo dell’edizione originale: The Bottom Billion. Why the poorest countries are failing and what can be done about itOxford University Press, New York Oxford – Paul Collier – 2007

Siamo stati abituati a ragionare su un’umanità divisa in un miliardo di ricchi e cinque miliardi di poveri, ma questa è la sintesi di una concezione superata. Il Terzo Mondo, in realtà, si è rimpicciolito. La maggior parte di quei cinque miliardi di persone, circa l’80% della popolazione mondiale, vive in Paesi in fase di crescita e ha già imboccato la strada giusta verso lo sviluppo. La vera sfida invece è costituita dalla presenza di un ultimo miliardo di persone rimaste inchiodate al fondo. “Dobbiamo – perciò – imparare a invertire le cifre

L’ultimo miliardo si concentra in almeno 58 Stati, quasi tutti in Africa e in Asia Centrale, che l’autore identifica chiamandoli “Africa+”: l’insieme di quei Paesi agli ultimi gradini del sistema economico globale che si distinguono perché non seguono lo schema dello sviluppo della maggior parte dei Paesi cosiddetti emergenti. Il loro reddito è calato del 5% persino durante gli anni Novanta, considerati, con il senno di poi, come il decennio d’oro tra la fine della Guerra Fredda e l’11 settembre.

Nel 2050 – spiega l’autore – il divario di sviluppo non separerà più il miliardo di ricchi dai cinque miliardi dei Paesi in via di Sviluppo (PVS), ma l’ultimo miliardo in trappola dal resto dell’umanità, persino da Paesi come India, Cina e altri dell’Asia e dell’America Latina.

Le ragioni sono da individuarsi in quattro tipi di “trappole”: la trappola del conflitto che sposta le voci di spesa interna dal welfare agli armamenti; la trappola delle risorse naturali, dove spesso sono i contesti ricchi di materie prime ad essere devastati dall’ingordigia degli investimenti stranieri; la trappola della mancanza di accessi diretti al mare unita alla presenza di Paesi limitrofi poco inclini al fair play diplomatico; infine la trappola del cattivo governo, della corruzione e delle oligarchie.

L‘indagine di Collier fa cadere uno dopo l’altro numerosi muri mentali: dalla logica del sistema tradizionale degli aiuti gestito dalle agenzie accusate di fare del comodo “business dello sviluppo”, alla retorica della filantropia spettacolarizzata, fino ad arrivare alle teorie liberiste e ai limiti ideologici diffusi dai think tanks progressisti.

L’autore propone al contrario nuove linee di politiche d’intervento adeguate, orientate ad un nuovo approccio “trasversale” (whole-of-government approach) in grado di condurre all’eliminazione vera e urgente della povertà, rivolgendosi direttamente ai governi che costituiscono il G8, invitandoli a mantenere alta la guardia su “Africa+” e dettandone con intelligente ambizione l’agenda operativa.

* Vincenza Lofino è Dottoressa in Lingue moderne per la Comunicazione Internazionale – indirizzo Economico (Università del Salento)

***

Con l’occasione BloGlobal offre ai propri lettori la lettura del documento redatto dai Commissari europei Kristalina Georgieva e Andris Piebalgs sulla creazione di resilienza in Africa quale aspetto primario dell’intervento umanitario.

Dalle catastrofi di oggi alla resilienza di domani

Dalla gestione alla prevenzione delle crisi: un nuovo modo di intendere la resilienza

La siccità e i cattivi raccolti sono all’origine della crisi alimentare che da due anni miete vittime tra le popolazioni africane del Corno d’Africa e del Sahel. Anche le popolazioni di altre parti del mondo sono esposte al rischio di siccità, inondazioni e altri eventi nefasti gravi.

Vi è però un fattore che incide sulla capacità dei paesi e delle persone di reagire a profondi stravolgimenti e far fronte a stress e crisi impreviste: la resilienza.

Gli strumenti per preparare le comunità più vulnerabili a siccità, inondazioni e altre crisi cicliche esistono: sono l’analisi dei dati, il riconoscimento dei pattern, la valutazione dei rischi, gli investimenti intelligenti e le attività gestite dalle collettività. I primi interventi di rafforzamento della resilienza si sono dimostrati all’altezza delle aspettative: in alcune parti del Corno d’ Africa e nel Sahel, per esempio, i progetti europei hanno permesso di alleviare le conseguenze più estreme della siccità in determinati settori, evitando così a migliaia di persone di soccombere alla fame.

Rafforzare la resilienza ha un riscontro finanziario. Per ogni euro investito in misure di preparazione possiamo risparmiare tra i quattro e i sette euro in interventi di reazione alle catastrofi. Se noi operatori umanitari e dello sviluppo vogliamo seriamente salvare vite umane e dare un valore alla vita, è questa la strada che dobbiamo percorrere.

Non stupisce infatti che operatori umanitari e dello sviluppo di tutto il mondo studino attivamente come inglobare la resilienza nelle loro attività. Non stupisce neanche che l’Unione europea, leader mondiale degli aiuti umanitari e allo sviluppo, si sia fatta paladina della resilienza e compia oggi un grande passo avanti presentando un ambizioso documento programmatico sul tema.

Per visualizzare il documento completo, clicca qui.

Per ulteriori informazioni visita la pagina della Rappresentanza della Commissione europea in Italia.


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