di Fabrizio Lorusso - Da Carmilla
"A cosa starà pensando El Chapo?" Questa semplice domanda, contenuta in un tweet del giornalista messicano Diego Enrique Osorno diventa virale la sera dell'8 gennaio. Sono passate poche ore dalla cattura, la terza, del narcotrafficante più ricercato al mondo, Joaquín Archivaldo Guzmán Loera, capo dell'organizzazione criminale di Sinaloa. Più conosciuto ormai per il suo alias, "El Chapo", ossia il tozzo o tarchiato, il capo rinchiuso è diventato un numero: prigioniero 3870 del penitenziario di massima sicurezza El Altiplano, prima La Palma. Nel tweet di Osorno è incorporata una delle foto diffuse dalla stampa dopo l'arresto. Guzmán sta seduto al suo posto vicino al finestrino, in canotta, con lo sguardo perso nel vuoto e la testa reclinata sul vetro. Pensoso, con un suo scagnozzo affianco, e provato dopo un risveglio di sparatorie e fuggifuggi. Il cartello di Sinaloa, conosciuto anche come del Pacifico o Federazione, è l'organizzazione criminale più potente del continente americano e probabilmente del mondo. Muove la gran parte dell'eroina, della cocaina, della marijuana e delle droghe sintetiche negli Stati Uniti e ha espanso le sue attività illegali nel pregiato mercato europeo, in Asia e in Oceania, dove i prezzi degli stupefacenti crescono ancora promettendo lauti guadagni. Il cartello di Sinaloa la fa da padrone nella spartizione di una torta globale psicotropica stimata tra i 300 e i 400 miliardi di dollari. E' forte a New York come a Buenos Aires ed è presente in ogni grande città tra queste due. Al di là del tradizionale business delle droghe, i cartelli messicani hanno diversificato le loro attività delinquenziali orizzontalmente, cioè si dedicano al contrabbando di metalli preziosi e petrolio, al commercio di armi e alla tratta di persone, al traffico di migranti, all'estorsione, al sequestro di persona, al riciclaggio, e a un'altra dozzina di tipologie criminali.
Capitolo 1. Il CartelloCircolano queste ipotesi circa le possibili future evoluzioni del cartello di Sinaloa che, sia ora sia nel precedente periodo di incarceramento del Chapo (febbraio 2014-luglio 2015), ha continuato a funzionare "normalmente" vista la solidità dei suoi affari e delle sue ramificazioni. E grazie anche ad altre leadership consolidate: c'è Ismael "El Mayo" Zambada, suo figlio "El Vicentillo", attualmente neutralizzato e in carcere negli USA, i figli di Joaquín Guzmán o vecchie glorie come Rafael Caro Quintero che, nel silenzio, potrebbe essere tornato in attività dopo la sua liberazione nel 2013. E infine c'è anche "El Azul", Juan José Esparragoza Moreno, capo storico dato per morto nel giugno 2014 ma che pare possa essere redivivo secondo varie fonti.
Infine, come sostiene lo scrittore noir americano Don Winslow, autore dei bellissimi Il potere del cane (2005) e Il cartello (2015), c'è e lì resta il Cartello, inteso non solo come l'organizzazione criminale, ma anche come tutto quello che ci sta intorno e la fa funzionare, ossia gli apparati dello stato, le polizie e i politici implicati nel contrabbando di stupefacenti o nella protezione di tali illeciti commerci (ascolta qui un'interessante intervista del giornalista di RSI Daniel Bilenko allo scrittore).
Missione compiuta? E Gisela Mota, la sindaca ammazzata?Tra l'altro la ricattura del boss arrivava proprio in un momento delicatissimo, con un timing e una precisione impressionanti. Il 2 gennaio, infatti, veniva uccisa Gisela Mota, neosindaca di Temixco, vicino a Cuernavaca, nella regione del Morelos, da un commando armato di presunti narcos del gruppo dei Los Rojos. Questi, come i tristemente famosi Guerreros Unidos, sono una cellula scissionista dell'ex potente cartello dei fratelli Beltrán Leyva, a loro volta fuoriusciti da quello di Sinaloa nel 2009.
La notizia del crudele assassinio, perpetrato nella casa della giovane funzionaria nel secondo giorno del suo mandato di fronte ai suoi familiari, ha fatto il giro del mondo, mettendo nei guai il governo e il presidente, giusto nel mese in cui si preparava la sfilata nella vetrina del World Economic Forum. In terra azteca sono un centinaio i presidenti municipali, come sono chiamati i sindaci nei comuni, ammazzati negli ultimi dieci anni. Gisela non s'era piegata ai dettami della delinquenza organizzata della zona, sempre più confusa e infiltrata nelle polizie locali e statali. Graco Ramírez, governatore del Morelos, ha approfittato del femminicidio mafioso per assumere pieni poteri sulle polizie dei comuni, il che di per sé non risolve le gravi disfunzioni di questi corpi corrotti, putrefatti. Di fatto gli osservatori più attenti, tra cui il poeta attivista Javier Sicilia, attribuiscono proprio all'incapacità e ai contuberni del governo statale la deriva violenta degli ultimi cinque anni. Si protegge il crimine organizzato, i suoi affari e i loro complici nella funzione pubblica, ma non si tutelano gli amministratori e i politici onesti che sono minacciati.
Quando in Italia e in Colombia la violenza crebbe sproporzionatamente fino a toccare il cuore del mondo politico e dell'élite, lo scossone cominciò a smuovere l'opinione di coloro che vivevano nel e del sistema politico-mafioso e della classe dirigente nel suo complesso. Il dilemma era diventato: o noi, o loro. E quindi arrivarono misure d'emergenza e maxiprocessi. E' la spiegazione del paradosso che hanno vissuto questi paesi a detta dell'accademico Edgardo Buscaglia. In Messico, invece, gli assassini politici a tutti i livelli non hanno provocato nessuna reazione complessiva e decisa del sistema e nel sistema, per cui la violenza pare inarrestabile.
Il 22 febbraio del 2014 il capo sinaloense era stato imprigionato, ma il 12 luglio di un anno dopo era riuscito a fuggire clamorosamente dal carcere di "massima sicurezza" El Altiplano, nei pressi della capitale, grazie a un tunnel di un chilometro e mezzo scavato sotto la prigione. Fu uno sberleffo per i responsabili della sicurezza e specialmente per il governo che dal momento del suo insediamento, nel dicembre 2012, ha provato a costruire di fronte al mondo l'immagine di un Paese sicuro e moderno, pronto ad accogliere investimenti e capitali offrendo le garanzie di un vero stato di diritto e d'una economia dinamica. Che poi in soldoni non si traduce in sicurezza sul lavoro, diritti, certezza della legge e responsabilità sociale, come il discorso ufficiale ambiguamente prova a comunicare, ma in una forza lavoro sottopagata, ricattabile e "ben disciplinata", in vantaggi fiscali enormi per le multinazionali, nella privatizzazione di educazione, salute e beni comuni e infine nell'apertura allo sfruttamento delle risorse naturali, in primis quelle minerarie ed energetiche.
Di lì a poco, il 26 settembre, la "notte di Iguala" avrebbe nuovamente e definitivamente stravolto i sogni di gloria dell'esecutivo, rivelando le trame della narco-politica e della narco-polizia, così come la volontà di governo e procura di sotterrare il caso, occultare responsabilità e adulterare le indagini. Ma ormai non si poteva più lasciare all'oscuro il grosso dell'opinione pubblica nazionale e internazionale e i genitori dei 43 ragazzi, sostenuti da un solido e indignato movimento di protesta, sono diventati subito una spina nel fianco, ancor più di quanto non lo fosse stata la fuga del boss più ricercato e ricco del mondo (leggi qui gli articoli su Iguala-Ayotzinapa).
Tanto in là s'è spinta la brama di manipolare, prima, e chiudere, poi, il caso, oltreché di zittire le proteste e le voci discordanti, che è stata creata una confusa "verità storica", sbandierata messianicamente come "buona e giusta" dall'ex procuratore Jesús Murillo Karam. Era invece fallace e menzognera, un insulto. L'effetto boomerang è stato dirompente e il movimento di sostegno ai genitori di Ayotzinapa e alle vittime di sparizione forzata, tra cui si contano migliaia di centroamericani, oltre che 30mila messicani, s'è internazionalizzato e rinforzato, malgrado le continue denigrazioni mediatiche e la repressione fisica di attivisti e giornalisti.
Gli studenti restano desaparecidos, cioè in un limbo burocratico e ontologico tra la vita e la morte, introvabili, per cui campeggiano i loro volti e i loro nomi, giganti di dignità e lotta, per le strade e le piazze, come a simboleggiare e denunciare le infinite impotenze e corruzioni strutturali dei diversi apparati statali coinvolti nei delitti commessi contro di loro. Il rischio che venga riconosciuto internazionalmente il crimine di lesa umanità per il caso Iguala-Ayotzinapa è alto e concreto e il presidente, che è capo supremo delle forze armate, ne dovrebbe rispondere direttamente. I pochi "punti d'immagine" che gli restano sarebbero immediatamente seppelliti in una delle tante fosse comuni dell'oblio, colme di ossa e segreti di stato, di cui per lungo tempo s'è voluta negare financo l'esistenza. Ma prima di tornare al Chapo...
Il 26 gennaio 2015, a 16 mesi dalla sparizione dei loro figli, i genitori di Ayotzinapa e i movimenti solidali hanno marciato per le strade di Città del Messico e hanno chiamato i collettivi all'estero a realizzare una giornata globale di protesta. La rivista Proceso ha pubblicato un reportage che mostra come vi sia del materiale audiovisuale importantissimo per il caso che è estato lasciato fuori dalle indagini ufficiali e come nella notte del 26 settembre 2014 il C4 (Centro di Controllo, Comando, Comunicazione e Computer) di Iguala fosse controllato da militari. Stiamo parlando del più importante snodo per il commercio di oppiacei ed eroina del continente americano. Iguala e i vertici del "pentagono dell'oppio" messicano nello stato del Guerrero sono vigilati da distaccamenti militari, ben informati circa i flussi che vi transitano. Le forze armate sono state protette dal governo durante le indagini e sono blindatissime per cui non è possibile interrogare nessuno dei militari che erano presenti durante i massacri e le desapariciones della notte di Iguala. Nel video occultato dalle autorità si nota chiaramente il passaggio di un convoglio composto da varie auto della polizia e, tra queste, vi sono altri veicoli che potrebbero essere "ufficiali" e avere a bordo funzionari pubblici. Viene quindi confermata la natura organizzata e complessa dell'operazione contro gli studenti sopravvissuti, le vittime e i desaparecidos di Ayotzinapa.
Capitolo 3. La terza catturaPeña s'è vantato dei 98 arresti compiuti dei 122 "obiettivi criminali" prioritari nel Paese. L'opinione pubblica invece si chiede come mai i mercati delle droghe illecite siano fiorenti come mai prima e la violenza di omicidi, sparizioni forzate e sequestri di persona non dia cenni di cedimento. La guerra alle droghe, così com'è stata concepita sin dai tempi di Nixon negli anni '70, è una sfida persa in partenza. Ciononostante il trionfalismo di Osorio Chong, il ministro degli interni, è imperturbabile: "Oggi il cartello di Sinaloa è totalmente un altro". "Gli Zetas e il Jalisco Nueva Generación sono polverizzati", ha chiosato al quotidiano La Jornada provando a ridisegnare a modo suo la mappa del crimine organizzato in Messico. Nel 2015 gli omicidi dolosi hanno superato la cifra di 18mila, in crescita rispetto ai due anni precedenti in cui c'era stato un calo. I desaparecidos sono ufficialmente quasi 27mila, ma Ong e associazioni della società civile ne contano oltre 30mila. L'Ufficio delle Dogane e il Controllo di Frontiera statunitense (CBP, in inglese) in un rapporto del 2010 spiegava che la cattura dei narco-boss non colpisce la dinamica del narcotraffico che, al contrario, vive e si rinnova anche grazie al ricambio dei vertici.
La procuratrice generale della repubblica, Arely Gómez, ha annunciato il ritorno di Guzmán nello stesso reclusorio in cui si trovava prima della fuga, El Altiplano. Ci resterà almeno un anno, mentre s'attendono i risultati dei processi di estradizione negli USA e i vari ricorsi che i suoi avvocati stanno già inoltrando a ripetizione. L'operazione di cattura della Marina messicana è durata alcune ore e il bilancio finale è di un militare ferito, cinque presunti delinquenti uccisi e sei arresti. El Chapo, raggiunto dai marines in una delle sue case-nascondiglio ( casa de seguridad, in spagnolo) a Los Mochis, città costiera dello stato del Sinaloa, s'è inizialmente addentrato nei condotti delle fognature per poi riemergere da un tombino nel bel mezzo di un viale e rubare un'automobile. Non era un copione nuovo. Lo accompagnava Orso Iván Gastélum Cruz, alias "El Cholo", sicario al suo servizio. Con il mezzo sono riusciti ad allontanarsi prima di essere fermati dalla polizia federale. Dapprima i due hanno cercato di corrompere i poliziotti, senza successo. Poi, una volta ammanettati, sono stati condotti in un motel dove i marines li hanno chiusi in una stanza e fotografati in attesa dei rinforzi.
Anche El Cholo è un personaggio interessante, di certo non un novellino: era già stato preso il marzo scorso a Guamúchil, in Sinaloa, e nel 2008 era evaso dal carcere di Culiacán. Il 24 novembre 2012 la reginetta di bellezza Miss Sinaloa venne crivellata durante uno scontro a fuoco tra i pistoleri di Gastélum e l'esercito. Restano ignote le ragioni per cui, dopo l'arresto solo pochi mesi fa, già si trovasse di nuovo in libertà e operativo affianco al suo mentore. La città de Los Mochis, una delle più prospere del Nordovest messicano, vive dal 2009 l'incubo della violenza scatenata dalla scissione tra il cartello di Sinaloa e quello dei fratelli Beltrán Leyva, ormai decadente a livello nazionale ma forte e presente in città. La cattura del Chapo minaccia di far esplodere reazioni a catena che rischiano di mettere a ferro e fuoco l'intera zona.
Trofeo e narco-capitaliGli USA vogliono El Chapo e ne hanno chiesto l'estradizione il 25 giugno scorso, poco prima della sua fuga. Non se lo sono portati via subito dopo l'arresto per via dello zelo e prontezza dei suoi avvocati che si sono dati da fare sin da prima della cattura. E' ricercato in sei corti statunitensi per reati di crimine organizzato, traffico di droga, riciclaggio e omicidio, tra gli altri.
Guzmán e Zambada, quest'ultimo ancora a piede libero, sono accusati di 21 reati e le procure sperano di recuperare capitali stimati tra i 4 e i 14 miliardi di dollari, in buona parte ricavati dal traffico di una quantità di cocaina che va da 127 a 465 tonnellate tra il 1999 e il 2014. In Messico un altro grande interrogativo riguarda proprio i patrimoni dei capi estradati. Il rischio di perderli è altissimo, dato che non vengono sequestrati a tempo debito, e dunque la beffa per una società violentata dalla narcoguerra e poi espropriata dei proventi del traffico illecito diventa doppia. La rivista Forbes stimava il patrimonio del Chapo in un miliardo di dollari, chi, o quale governo, riuscirà mai a recuperarne anche solo una quota?
Molti capitali sono già nei circuiti legali, ma non vengono né tracciati né, in caso, sequestrati. Men che meno si riutilizzano socialmente in beneficio delle comunità colpite dalla violenza. E' il paradiso dell'impunità imprenditorial-criminale, finanziaria e del riciclaggio. Decine di imprese legalmente costituite, anche se legate all'organizzazione criminale, funzionano coll'annuenza o le sovvenzioni dello stato e non sono sottoposte a auditing tributario. L'esperto Edgardo Buscaglia, autore di un libro sul riciclaggio del denaro sporco, sostiene che "non si mette mano al patrimonio del cartello di Sinaloa perché la stessa classe politica ha paura di farlo visto che ci sarebbero ripercussioni sul finanziamento delle campagne elettorali". Inoltre, sul tema dell'estradizione, Buscaglia ritiene che sarebbe l'ammissione del collasso dello stato messicano e che "se succede, nel processo giudiziario il PM americano si concentrerà sui delitti commessi negli USA e non coinvolgerà la classe politica messicana [...] cioè coinvolgerà alcuni imprenditori messicani e statunitensi ma non la classe politica nel suo insieme".
Tra burocrazie e ritardi, oltre ai dovuti passaggi legali, El Chapo avrà il tempo per provare a fuggire di nuovo trovando spiragli nelle maglie del sistema penale e carcerario. Oppure per negoziare con calma un accordo con gli Stati Uniti da un posizione di forza, magari in seguito a una ammissione di colpa e al pagamento di una multa milionaria. Ci sta lavorando su la sua squadra di difensori: erano ben sette nel 2014, ma ora ne sono stati ratificati solo due. D'altronde un'estradizione fast track violerebbe i diritti del boss e sarebbe l'ammissione dell'impotenza di una lunga serie di istituzioni messicane, ossia il contrario di quanto ha cercato d'affermare il governo dopo la sua cattura.
A cosa starà pensando El Chapo? Era la domanda iniziale. Di certo l'elaborazione di un nuovo piano di fuga è un'ipotesi plausibile, nonostante i notevoli mezzi messi in campo per la sicurezza della cella e dell'intero penitenziario: un centinaio di federali all'esterno e trentacinque custodi all'interno, cinque filtri di controllo e due elicotteri all'esterno e persino un mastino (con la museruola) all'interno. Il boss sinaloense, almeno per il momento, non gode più delle prerogative che aveva in prigione nel 2014, cioè le visite intime di sua moglie, la ventiseienne Emma Coronel, la televisione con casse acustiche e non con le cuffie e incontri più lunghi del normale coi suoi avvocati-messaggeri. In alcune occasioni aveva anche ricevuto visite di una deputata dello stato del Sinaloa, Lucero Guadalupe Sánchez, del partito conservatore Acción Nacional, la quale s'era introdotta con documenti falsi e, secondo le versioni giornalistiche dei fatti, aveva una relazione sentimentale con El Chapo.
Capitolo 4. Estradizione?La fuga del trafficante sinaloense nel luglio 2015 aveva provocato un problema di stato, comparabile solo alla crisi di legittimità provocata dal caso dei 43 studenti di Ayotzinapa e dalla conseguente emersione delle trame della narco-politica. Quindi, così come era successo con la "versione storica" delle autorità sui 43, la cattura del Chapo viene ora esibita come un successo, un trofeo, ma potrebbe trasformarsi in un nuovo incubo per l'intera classe politica e generare un effetto domino dalle conseguenze imprevedibili. Inoltre per l'evasione dell'anno scorso sono sotto processo solo pesci piccoli dell'amministrazione del carcere e quel gravissimo scandalo sta rientrando senza grossi scossoni.
Joaquín Archivaldo Guzmán Loera, comunità La Tuna, città di Badiraguato, stato di Sinaloa, 4 aprile 1957. Figlio di Consuelo ed Emilio, copia di contadini, genitori di undici figli, otto maschi e tre femmine, cresciuti in povertà e senza possibilità di studiare oltre le scuole elementari in una casa dal tetto di lamiera. Una storia abbastanza comune nel Messico rurale.
Dopo anni d'esperienze come coltivatore di amapola o papavero da oppio durante l'adolescenza, il "padrino" del mitico cartello di Guadalajara degli anni ottanta, Miguel Ángel Félix Gallardo, prende il giovane Guzmán Loera al suo servizio e questi si fa le ossa nella principale organizzazione per il contrabbando di stupefacenti nel Paese. Tra il 1985 e il 1989 i principali capi dell'organizzazione vengono arrestati e comincia la lotta per la successione.
I dettagli di questa evasione sono ormai un cocktail di storia e leggenda, ma il fatto certo è che da quell'anno Sinaloa inizia la scalata al potere criminale globale. Tra il 30% e il 50% della coca in entrata negli USA passa dalle sue mani. I colombiani, dopo l'intensificazione dei blocchi navali statunitensi nei Caraibi negli anni '80, la morte del capo del cartello di Medellín, Pablo Escobar, nel 1993 e l'avvio del Plan Colombia, a direzione statunitense, nel 2002, sono progressivamente soppiantati dai messicani. Nel 2000 in Messico vince il PAN, partito di destra che promette grossi cambiamenti, dopo oltre settant'anni di egemonia del populista PRI. Il fiammante presidente Vicente Fox s'insedia nel dicembre di quell'anno. Il suo successore, Felipe Calderón, anche lui del PAN, governa dal 2006 al 2012 e lancia un'offensiva militare contro i baroni della droga conosciuta come "narcoguerra". Almeno 100.000 morti in sei anni e decine di migliaia di desaparecidos sono le eredità di quella strategia che, però, non è stata modificata sostanzialente fino ad oggi.
Nel frattempo le droghe sperimentano un boom nei mercati "sviluppati" ed "emergenti", la globalizzazione e l'impennata del commercio interessa anche loro. El Chapo entra nella classifica di Forbes tra gli uomini più ricchi del mondo, con un patrimonio stimato di un miliardo di dollari. Gli anni del PAN sono gli anni in cui Sinaloa diventa "il Cartello", grazie alle connivenze e alla partecipazione delle istituzioni a tutti i livelli. Nel 2012 il PRI torna al potere e il presidente Peña mantiene i soldati per le strade, continua a ricevere i fondi USA dell'Iniziativa Merida, in diminuzione e criticati ormai anche dal congresso americano, e solo cambia il suo discorso, improntato alla modernizzazione e alle riforme. Le armi made in USA inondano e invadono il Paese. I giornalisti e gli attivisti vengono perseguitati senza tregua, il numero dei desaparecidos cresce a dismisura, la società viene limitata nelle sue possibilità d'espressione, nell'esercizio delle libertà e della democrazia ed è preda della morsa tra autorità inefficienti o corrotte e criminalità organizzata. Due facce della stessa medaglia, frequentemente confuse tra loro o indistinguibili.
Capitolo 5. Triangolo: Kate del Castillo, Sean Penn e "El Chapo" GuzmánIl 2 ottobre 2015 l'attore Sean Penn e l'attrice Kate del Castillo, che ha stabilito il contatto tramite gli avvocati del capo, hanno fatto visita a Joaquín Guzmán Loera in una delle sue proprietà sperdute nella sierra tra il Durango e il Sinaloa e hanno passato la serata con lui, con le sue guardie del corpo e i suoi figli. Tequila e tacos a volontà. E anche qualche chiacchiera, giustamente.
Nel gennaio 2012 del Castillo pubblicò un tweet che diventò virale e polemico perché l'attrice affermava, provocatoriamente, di avere più fiducia nel Chapo Guzmán che nel governo messicano. Pare che il boss, che presumibilmente ha avuto diciotto figli con sette mogli e amanti diverse, sia avvezzo ai messaggini di testo e alle donne, quando è in libertà e quando è recluso. Inoltre l'idea del film lo stimolava. Kate del Castillo comunicava con lui servendosi del sistema di messaggeria BBM Black Berry e di lettere manoscritte. Solo a lei, come persona ritenuta di fiducia, El Chapo avrebbe rivelato e concesso i diritti sulla sceneggiatura. Anche per questo è stata fissata una visita in un luogo segreto e alcuni produttori di Hollywood, informati da del Castillo, hanno deciso di contattare Sean Penn che ha accettato di accompagnare la messicana nel viaggio nella sierra occidentale e ha proposto al narcos di realizzare un'intervista.
Però il video di 17 minuti spedito dal Chapo a Kate del Castillo non è stato registrato quella sera ma nelle settimane seguenti. Si tratta di un documento interessante anche se rappresenta più che altro una confessione, un messaggio di Guzmán al mondo, e non una vera e propria intervista in cui il giornalista ha la possibilità di controbattere. D'altronde, per come è stata fatta, non ce n'era il modo. Il testo finale è dovuto passare dall'approvazione del Chapo prima della pubblicazione. In questo senso sono piovute critiche a Rolling Stone e all'autore, accusato di aver costruito l'apologia di un delinquente responsabile di migliaia di morti. Penn ha definito El Chapo "prima di tutto un business man, che ricorre alla violenza quando lo considera vantaggioso per se stesso o i suoi interessi commerciali".
Una visione forse romantica, anche se un po' di verità c'è. Stiamo parlando di un impresario e commerciante, ma anche di un capo mafioso corresponsabile di mattanze e atrocità, malgrado l'affabilità e semplicità teatrali che ha sfoggiato nel video e durante la visita degli attori. Grazie ad essi ha potuto lanciare al mondo messaggi importanti, comunicare il suo potere come trafficante e burlarsi in diretta delle "solide istituzioni" propagandate da Peña Nieto. Il tempismo è stato eccellente: il giorno dopo l'arresto è uscita l'intervista, come a voler dare una sberla al governo e a comunicare che il capo resta il capo anche in prigione.
Sean Penn ha accusato le autorità messicane di mettere in pericolo la sua vita. Infatti, la procura ha sostenuto che l'intervista è stata un elemento decisivo per poterlo riacciuffare. Comunque la sua intenzione era quella d'accendere i riflettori su una giusta causa, cioè la denuncia dell'ipocrisia della guerra alle droghe, per cui i morti restano a sud mentre gli stupefacenti e i narco-capitali e le sostanze vanno a nord, e sul ruolo che gli Stati Uniti hanno in essa. In qualche modo c'è riuscito, nonostante le critiche e le speculazioni che immediatamente hanno ricoperto lui e Kate del Castillo. La strategia dei mass media s'è concentrata dunque sui personaggi, sulle frasi dei governanti, sull'etica giornalistica, sui messaggini tra Kate e Guzmán e i suoi legali e su vari dettagli morbosi, ma non sul nucleo del problema e sulle responsabilità a monte dell'ondata di violenza e corruzione che sta distruggendo la società e l'economia messicana.
Rivelazioni, film e depistaggiNella video-intervista El Chapo ha senza dubbio rotto una tradizione, quella dei capi-mafia che mai dichiarano d'essere dei trafficanti, ma si definiscono invece imprenditori o semplici lavoratori e negano ogni vincolo con la delinquenza fino alla fine. "Traffico più eroina, metanfetamine, cocaina e marijuana di chiunque altro al mondo, ho una flotta di sottomarini, aerei, camion e autobotti", ha dichiarato invece il sinaloense. E poi ha aggiunto, perentorio: "Il giorno in cui io non ci sarò più, non cambierà niente [nei traffici]". Infine ha ammesso: "Son più di vent'anni che non consumo droghe" e "le droghe distruggono".
Non si tratta di informazioni nuove, ma l'impatto sull'immagine dell'esecutivo è stato dirompente e imbarazzante, così come lo è stato il fatto stesso che un incontro di questo genere si sia potuto realizzare. In qualche modo le affermazioni di diversi funzionari subito dopo l'intervista hanno preannunciato la "vendetta", cioè il ciclone mediatico e accusatorio contro Sean Penn e, in particolare, contro la sua compagna di viaggio nel ranch del Chapo.
L'attrice è oggetto di continui attacchi che mettono in pericolo persino la sua vita. La procura ha fatto in modo che venissero alla luce informazioni e comunicazioni provate contro di lei secondo un piano-montaggio orchestrato per sviare l'attenzione e colpevolizzare l'attrice. La giornalista Lydia Cacho su Proceso ha parlato di una "persecuzione di stato" che fa sospettare vi siano molti altri segreti inenarrabili dietro a tutta la vicenda e che la "logica della comunicazione politica istituzionale non solo si focalizza sulla spettacolarizzazione del caso, ma anche sulla violazione della legge". E conclude: "L'impero di Guzmán non esisterebbe senza la connivenza delle autorità federali". Altro che messaggini e chat. Tutti si chiedono piuttosto dove sono i soldi del Chapo e chi se li intascherà.
La polemica delle alte autorità messicane, gli inviti a comparire delle procure messicane e americane per Penn e del Castillo e l'attacco mediatico contro di loro risponde alla volontà di voler sotterrare i particolari vergognosi di questa storia per lo stato messicano: la prima fuga del narcos grazie alla corruzione di funzionari e politici, la rete intoccata delle imprese legate al cartello, la corruzione nelle forze armate, le menzogne raccontate per tappare la cloaca della narco-politica, l'omicidio di una giovane sindachessa in un territorio fuori controllo e l'impossibilità di offrire spiegazioni per il crimine di stato di Iguala contro gli studenti di Ayotzinapa e per gli altri 26mila desaparecidos. Ecco le vere questioni aperte.