L'ultimo viaggio di Giacomo Casanova.

Creato il 05 novembre 2014 da Il Viaggiatore Ignorante

Passai dalla Venezia per bene, dal suo sfarzoso palazzo ricoperto di ori antichi, dai suoi stucchi ingannevoli alle sue mura ricoperte da maestosi affreschi di uomini che con il loro color si resero eterni immortali, fino pervenir alla sala degli inquisitori, dove i condannati anche per futili motivi (omosessualità, magia, eresia) venivano destinati e condannati ad una morte certa.Le sale dei tribunali, stormivano ancor dai pianti e dai sussulti, di esseri umani spesso innocenti,  spesso troppo scomodi ai grandi uomini, schiacciati come bestie, davanti alla potenza del doge e dal gran consiglio dei 10, seduti come angeli, giudici supremi, dinanzi al giudizio universale posato e dipinto sopra le loro teste.Il condannato se reso colpevole, veniva condotto dagli uffici alle galere, tramite un oscuro ponte denominato dei sospiri, come narra la leggenda perché in quell'istante che il mortal veniva trascinato con le su catene, da piccole fessure ancor per pochi attimi la luce penetrante sul proprio viso poteva ancor avvertir, e ammirar in uno straziante sfuggevole attimo l'incantevole bellezza di Venezia, eterna signora e sposa del mare, sospirando, e sospirando ancor da un viaggio di sola andata, perché attraversando il ponte mai più si faceva ritorno alla libertà.Neppure da innocenti.Giunti nei piombi (galere, dette così per il materiale con cui erano state concepite) dove i condannati attendevano il proprio compimento, in condizioni pietose, spesso erano allagate, sporche, strette e affollate, prive di qualsiasi luce, prive di ogni speranza così che la morte divenisse un desiderio concreto e non più un tormento.Solamente per i nobili la detenzione giungeva più lieve, le celle destinate a loro erano più ampie e spaziose e c'era il lusso di poter  star in piedi senza la schiena inarcar.Si attendeva nell'oscurità la morte, per impiccagione in Piazza San Marco tra le due imponenti marmoree colonne.Fra le mura di queste celle, persistono incisioni dei condannati sui muri, preghiere e tormenti.Un uomo che di Venezia divenne un simbolo, Giovanni Giacomo Casanova, (Venezia 1725 - Dux, Boemia 1798), fu incarcerato in queste galere, e attraversò nel suo mito, il famoso ponte per essere rinchiuso fino alla sua incredibile fuga, dalla quale scrisse un libro "La mia fuga dai piombi".Era l'anno 1755 di nostro signore, Casanova per il suo passato tormentato e per i suoi intrighi, venne arrestato dalle autorità Veneziane sospettato di appartenere alla massoneria con l'accusa di magia nera e di empietà ma sopratutto per le sue ricerche sull'immortalità ed il rapporto con  Giuseppe Balsamo detto Conte di Cagliostro.Come le severe leggi dell'epoca non poteva difendersi da tale accusa, ed era privo di conoscenza su quale fosse stato il suo destino, venne rinchiuso in una prigione sotto il soffitto del palazzo, in estate l'afoso sole lo tormentava, e l'inverno la poca pagliuzza non bastava a scaldarlo, preso da vari malanni, gli fu concesso di uscire per poco tempo al giorno per muovere le gambe, lungo il corridoio, in questa occasione riuscì a procurarsi uno spuntone di ferro con la quale riuscì a ricavarne un rudimentale strumento di scavo, venne visto una prima volta e gli fu cambiata cella, ma riuscì a portar con sé lo strumento, nascondendolo.Strinse in seguito amicizia scambiandosi in segreto degli scritti con Padre Balbi, un monaco condannato per non aver obbedito al voto sacro di castità, i due progettarono la fuga collegando le due celle con un buco ed infine effettuando uno scavo sul tetto del palazzo per darsi alla fuga.La storia vuole che durante la fuga, Casanova indossando abiti nobiliare  percorse tranquillamente i corridoi perché vi si teneva una festa, quando si trovò davanti due servitori domandò a loro con eleganza dove fosse l'uscita principale del palazzo, se ne andò come un'invitato facendo attendere anche il gondoliere, e prima di abbandonare Venezia per Parigi, si fermò a sorseggiare una grappa nel suo salotto preferito. 


 Articolo di Simone de Bernardin

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