La storia comincia negli spogliatoi quando i giocatori del Napoli, informati di quello che è accaduto fuori dallo stadio, e in contatto costante con alcuni tifosi, dicono di non voler giocare.
«C'è un ragazzo morto, non si può entrare in campo». Le forze di Polizia e la stessa Federcalcio spiegano loro che non è morto nessuno, che ci sono soltanto dei feriti, uno dei quali in condizioni gravi ma la sua situazione è abbastanza sotto controllo. Interviene la società che si fa garante, la squadra in un certo senso si convince e decide di scendere in campo. Fuori però - come riportano anche i commissari della Federcalcio - il clima è molto pesante. Dalla curva arrivano «petardi e bombe carta », il coro più ripetuto è «Questa partita non si deve giocare ».
Si valuta la possibilità di un annuncio con l'altoparlante per spiegare cosa è accaduto, in modo da comunicare le reali condizioni di salute di Esposito. «Ma a noi non crederanno mai» dicono sia la Federcalcio che la Polizia. A loro no, ma alla squadra sì. Per questo chiedono ai giocatori di spiegare loro ai tifosi cosa realmente sta accadendo. È l'unica possibilità per evitare che la situazione all'interno dell'Olimpico degeneri. Non giocare la partita sarebbe un disastro per l'ordine pubblico.
Vanno così dalla società e con un dirigente del Napoli dal capitano, Marek Hamsik. Che evidentemente ha qualche perplessità ad andare a colloquio con i Mastiffs e con Genny. Il motivo potrebbe trovarsi in un verbale depositato agli atti dell'inchiesta della procura di Napoli sui furti ad alcuni giocatori del Napoli negli anni scorsi.
«Alcune rapine ai danni di Lavezzi, Hamsik o Cavani - mette a verbale il pentito Salvatore Russomagno - sono state consumate dai Mastiffs per punirli. Bisognava colpire quei calciatori che avevano rifiutato di partecipare a inaugurazioni di club o altri eventi organizzati dai tifosi». In sostanza Hamsik potrebbe essere stato vittima delle rappresaglie dei tifosi con cui viene mandato a trattare, tifosi che lo stesso pentito Russomagno descrive come pericolosi: «I Mastiffs sono spietatissimi, il loro capo è conosciuto come la carogna, ha lui in mano il potere».
Ecco, Hamsik viene portato davanti alla Carogna. È scortato dalla Polizia, da un dirigente e dall'ispettore della Federcalcio che annota tutto. «Questa partita non si deve giocare, hanno ammazzato uno dei nostri », dice il capo ultras secondo il racconto che l'ispettore fa ai suoi colleghi. Hamsik gli spiega che non è vero, sulla base di quello che gli ha raccontato la Questura. «Se fosse morto, noi saremmo i primi a non scendere in campo».
«Non ci prendete in giro, l'hanno ammazzato », la Carogna insiste. «Ci sto mettendo la faccia - dice Hamsik - Ci sono dei feriti, e non sono gravi. E non è una questione di ultras, l'aggressione è avvenuta per altri motivi». La Carogna ascolta e alla fine decide di credergli. «Va bene - dice in sostanza il capo dei Mastiffs - Se ci metti tu la faccia, la metto anche io. Tanto tutti sappiamo dove siamo».
Subito dopo con il pollice alzato, come testimoniano le fotografie, dà il via libera alla partita alla curva rassicurando la tifoseria che non li stavano prendendo in giro e che quella partita effettivamente si poteva giocare.
Il racconto dettagliato dell'ispettore è finito sulla scrivania del procuratore federale, Stefano Palazzi, e ora alla procura di Roma. L'ufficio indagini della Figc ha il compito di verificare se i tesserati hanno violato il codice sportivo. Dovrebbe valutare se infatti si sono piegati «a un'illegittima pretesa loro rivolta e di fatto legittimando un comportamento violento, intimidatorio ed aggressivo da parte dei medesimi sedicenti tifosi» ma dicono che Hamsik in una situazione del genere non rischia niente. Se qualcuno si è piegato a «un'illegittima pretesa», per una volta non sono certo i calciatori.
Giuliano Foschini e Marco Mensurati, su La Repubblica
In effetti viene da chiedersi com'è che il campionato italiano non sia il più bello del mondo e com'è che lo Stato e le Istituzioni siano così mal messe...