Fare tutto questo casino per un ritardo di qualche giorno nella corresponsione degli stipendi sembra una “bestemmia sociale”, in un’epoca in cui milioni sono i disoccupati ed i sottoccupati. Visto dall’esterno potrebbe sembrare così, ma invece la reazione è giustificata, e non solo perché oramai i ritardi per “momentanea carenza di liquidità” si susseguono con pericolosa regolarità. È il patto che viene meno a produrre disagio, non solo economico. La tranquillità retributiva è stata la base su cui ciascuno di noi ha costruito la propria stabilità economica ma anche il proprio senso profondo di identità ed appartenenza. La maggior parte di noi lavora in Circumvesuviana da almeno 25 anni. In questi anni, abbiamo organizzato le nostre vite e le nostre famiglie sulla certezza dello stipendio. Alcuni di noi, colpevolmente comincio ora a pensare, hanno perfino rinunciato ad “altre vite”, in ragione della sicurezza occupazionale e retributiva. In maniera inconscia, in qualche caso, abbiamo rinunciato a metterci alla prova sperimentando altre possibili evoluzioni professionali, in nome di quella sicurezza del domani, lascito atavico dei nostri genitori che ci hanno inculcato la superiorità morale del posto fisso. A me è capitato più volte di poter cambiar vita professionale, eppure alla fine ho scelto, forse pavidamente, di dare alla mia famiglia e a me stesso sicurezza, non testando fino in fondo le mie possibilità.
Ora, purtroppo, vediamo scivolarci dalle mani - come sabbia tra le dita - sia la sicurezza occupazionale che quella economica. E la preoccupazione è dettata dalla paura fondata che la crisi non sia contingente ma strutturale, addirittura epocale. La crisi del TPL, all’interno della più generale crisi economica mondiale, è crisi di rottura del patto sociale fra capitale e lavoro. Da una parte la crisi fiscale dello Stato determina tagli alle risorse, ma non solo per carenza di liquidità. In fondo, viviamo una crisi che è fondamentalmente la crisi di un modello sociale. È il redde rationem fra i lavoratori con posto fisso e il popolo delle Partite IVA, tra lo Stato Sociale ed il laissez-faire del liberismo più sfrenato, che vorrebbero la totale privatizzazione del TPL. Il capitale difende benissimo le proprie posizioni (basta vedere la dura opposizione alla tassa patrimoniale) con tutta l’asprezza e, soprattutto, con evidente disprezzo del lavoro dipendente. I lavoratori dipendenti, invece, vivono una totale incapacità a mettere sul tavolo la propria forza numerica. Il capitale, e chi lo rappresenta, sa bene cosa fare per ridurre ai minimi termini la reazione delle classi subalterne. Le classi subalterne, invece, senza più reali difensori (non esiste più la Sinistra né il Sindacato) vagano attonite alla ricerca di un elemento unificante. Elemento che, paradossalmente, è il lavoro stesso. Il lavoro dà identità e dignità, non averlo o rischiare di perderlo, rompe il patto sociale ma, più di ogni altra cosa, distrugge le anime degli uomini, rendendoli ipso facto manipolabili.
Ecco perché, in ultima analisi, la reazione ai ritardi nei pagamenti degli stipendi non è per nulla spropositata. San Paganino, in fondo, ci fa sentire parte di un tutto finalizzato. Quando la sicurezza dello stipendio è anche soltanto minacciata diventiamo prede possibili per chi gestisce il potere, perché l’insicurezza ci fa sbandare come mandrie impazzite nella vasta prateria della società.
Ciro Pastore – Il Signore degli Agnelli
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