di Beniamino Franceschini
da IL CAFFE’ GEOPOLITICO, Rubrica “Caffè Nero”, 03 ottobre 2012
Le truppe dell’Unione Africana sconfiggono al-Shabaab a Chisimaio, ma, negli stessi giorni, gli islamisti colpiscono una chiesa a Nairobi. Il Consiglio di Sicurezza affronta la questione del Mali, mentre Bamako acconsente a un’eventuale presenza militare nel Paese. In Sudan torna la violenza del conflitto tra gli insorti del Darfur e il Governo di Khartoum. In Senegal, Sall abolisce il Senato per risparmiare fondi da destinare agli alluvionati. Mugabe annuncia le elezioni nel marzo 2013.
LA RICONQUISTA DI CHISIMAIO – Le forze dell’Unione Africana sono riuscite a espugnare Chisimaio, roccaforte delle milizie di al-Shabaab. L’attacco decisivo è stato lanciato tra giovedì 26 e venerdì 27 settembre ed è durato quasi un giorno intero. Comunque, secondo alcune testimonianze, nella periferia resterebbero ancora sacche di resistenza, mentre la popolazione avrebbe preso d’assalto gli edifici prima occupati dagli islamisti in cerca di beni e armi. A guidare l’offensiva sono state le truppe keniote, che hanno dovuto fronteggiare le strenue difese degli uomini di al-Shabaab, ben coperti da strutture approntate allo scopo e dotati persino di contraerea. Il 1° ottobre, però, fonti ufficiali dell’esercito somalo hanno dichiarato ufficialmente che Chisimaio sia stata liberata, descrivendo alcune fasi dell’operazione. Le truppe dell’Unione Africana e della Somalia hanno attaccato la città col sostegno di artiglieria (anche navale), mezzi corazzati e aviazione da due direzioni, senza incontrare da principio alcuna resistenza. I militari kenioti, tuttavia, continuano a mantenere la prudenza, poiché, da un lato i sobborghi di Chisimaio non sono ancora sotto controllo, dall’altro la ritirata degli islamisti è stata talmente rapida da destare i sospetti di un imminente contrattacco. In proposito, il 2 ottobre, un ordigno è esploso nei pressi del comando della missione AMISOM nella città.
UN IMMINENTE INTERVENTO IN MALI? – La discussione circa l’invio di una missione internazionale a sostegno del governo maliano potrebbe aver subìto un impulso decisivo. La scorsa settimana, infatti, Bamako ha acconsentito alla presenza di truppe straniere sul proprio territorio, interrompendo dunque l’atteggiamento di chiusura ispirato, soprattutto, da Amadou Sanogo, il capo dei militari golpisti. Pochi giorni dopo, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha cominciato a trattare diffusamente la possibilità di attuare un’operazione internazionale, ipotesi sostenuta in particolar modo dalla Francia e dagli Stati Uniti, sebbene con posizioni diverse. Infatti, mentre Parigi propende per l’intervento armato, Washington preferisce, come comunicato da Hillary Clinton, «la nomina di un inviato delle Nazioni Unite con l’incarico di condurre uno sforzo comune sul Mali e di creare un gruppo diplomatico di contatto». I punti di vista dei vertici africani restano ancora discordanti, considerato anche che nel Consiglio di Sicurezza siedono Marocco e Sudafrica, due Paesi piuttosto peculiari nel sistema relazionale del continente nero. Nel frattempo, un rapporto redatto dall’ong International Crisis Group, ha lanciato un preciso allarme sulla situazione in Mali, evidenziando che, stante l’immobilità internazionale e le ambiguità di Bamako, «tutti gli scenari sono ancora possibili, da un nuovo colpo di Stato militare, fino alla rivolta nella capitale, eventi che potrebbero compromettere il percorso istituzionale di transizione e creare il caos totale, a vantaggio dell’estremismo religioso e del terrorismo nel Paese e oltre i confini».
RIPRENDONO GLI SCONTRI TRA RIBELLI DEL DARFUR E SUDAN – Il Sudan Liberation Movement – Abdul Wahid (SLM-AW) ha comunicato che i propri miliziani hanno ucciso in uno scontro a fuoco ventidue soldati delle forze regolari sudanesi. Secondo quanto riportato, gli insorti avrebbero attaccato il 1° ottobre un convoglio governativo in viaggio dal Kordofan Settentrionale al Darfur del Nord, più precisamente tra Ribeige e Al-Aiyd Jaranebi. L’episodio si inserisce nella ripresa della violenza tra i ribelli e il Governo di Khartoum: già giovedì 27 settembre, il Sudan Liberation Movement – Minni Minnawi (SLM-MM) e il Justice and Equality Movement (JEM) annunciarono di aver preso d’assalto oltre 160 camion dell’esercito che trasportavano armi e carburante in Darfur. Il Governatore della regione e le Forze Armate hanno confermato l’accaduto, pur specificando che il convoglio non fosse militare, bensì civile, mentre il portavoce dell’SLM-MM ha indicato che la colonna stesse trasportando equipaggiamento per le truppe sudanesi nel Sud Darfur. Il giorno dopo, il “Sudan Tribune” ha riportato le dichiarazioni di alcuni testimoni in merito a una strage di 87 persone che i Janjawid, gruppi paramilitari collegati al Governo, avrebbero compiuto tra il 25 e il 27 settembre nel Darfur Settentrionale, bruciando e saccheggiando almeno tre villaggi. Il 30 settembre, infine, fonti ufficiali dello Stato del Darfur del Sud hanno comunicato l’uccisione di 70 membri del Sudan Revolutionary Front (SRF) in scontri che sono costati la vita anche a 12 militari regolari. Tuttavia, la controparte ha replicato rivendicando la morte di 84 soldati governativi.
SENEGAL: SALL ABOLISCE IL SENATO – Nelle ultime settimane, il Senegal ha subito una serie di terribili inondazioni, tra le peggiori della propria storia. Il bilancio finale è stato di 13 morti e decine di migliaia di sfollati, senza contare i danni alle infrastrutture e all’economia. Il Presidente senegalese ha assunto una decisione destinata a sollevare vaste polemiche: adducendo la necessità di recuperare in tempi rapidissimi i fondi necessari alla ricostruzione, Macky Sall ha abolito il Senato, per un risparmio totale di 16 milioni di dollari. La misura è stata già approvata dall’Assemblea Nazionale e adesso dovrà essere sottoposta al voto dei diretti interessati, ma, in caso di respingimento da parte della Camera alta, il provvedimento sarà discusso in seduta plenaria e Sall avrebbe nuovamente la maggioranza. Gli oppositori sostengono che il Presidente abbia agito solo per garantirsi un potere più ampio, poiché la coalizione di governo domina l’Assemblea Nazionale, ma è minoritaria in Senato. Come ha scritto recentemente Simon Allison sul “Daily Maverick” (Senegal Abolishes Senate – Selfless Gesture or Selfish Politicking?), «per il momento, concediamo a Sall il beneficio del dubbio».
IN ZIMBABWE SI VOTERÀ A MARZO – Robert Mugabe ha affermato che le elezioni potrebbero svolgersi nel marzo 2013. Il dibattito che si è scatenato attorno alla necessità di allentare il controllo politico nello Zimbabwe potrebbe aver condotto a una prima certezza. Dopo due anni di contrattazioni, alcune condizioni imposte dalla Southern African Development Community sembrano sul punto di essere realizzate, considerato che già è stato formato un governo di unità nazionale. Tuttavia, i più importanti obiettivi della roadmap per la democratizzazione del Paese sono ancora molto lontani, tant’è che, da più parti, si è sollevato l’allarme circa l’eventualità che le prossime consultazioni possano essere di nuovo condizionate dai brogli e dalle violenze del 2008. Per esempio, la mancata riforma del diritto penale consente ancora la violazione di alcuni diritti umani e la persecuzione di giornalisti e oppositori politici, spesso accusati di «insulto o indebolimento dell’autorità del Presidente».
Beniamino Franceschini
La versione originale dell’articolo può essere letta qui: L’Unione (Africana)… fa la forza.