Purtroppo, spesso a prevalere è la bassa strumentalizzazione politica. Ho letto pure io Terroni, di Pino Aprile. Non c’è dubbio che il libro aiuti a comprendere le ingiustizie e i crimini commessi contro il Mezzogiorno. Ma ha ragione Vittorio Cappelli, quando precisa che “dire che una fantomatica storia ufficiale abbia trascurato o nascosto la drammaticità e il peso del brigantaggio e della questione meridionale è una sonora sciocchezza”. Senza dire che il metodo di Aprile, dal punto di vista scientifico, non è correttissimo. Le testimonianze “si parlava di 1.000 morti” non sono verità storiche. Se dai registri parrocchiali di Pontelandolfo risultano 150 vittime, mentre per la tradizione orale si arriva anche a 9.000 e si utilizza il dato più alto, si vuole sostenere una tesi polemica (e forse politica), non certo fare storia.
Giordano Bruno Guerri, autore di un libro, Il sangue del Sud, che si inserisce anch’esso nel filone “revisionista” premette che “occorre continuare a considerare il Risorgimento un atto fondamentale, necessario e benigno, della storia d’Italia, pur con tutti gli errori e le colpe che accompagnano gli eventi epocali”. Condivido in pieno.
Non è intellettualmente onesto insinuare, dietro il legittimo tentativo di ricostruire anche le pagine più oscure della nostra storia, un giudizio di valore sull’unificazione che, diciamolo chiaramente, serve soltanto per fare il gioco della Lega. Si poteva fare di meglio? Certamente. Ecco perché non giovano le mitizzazioni e la retorica risorgimentale, ma neanche alcune improbabili “controstorie”. Per quanto mi riguarda, risolvo la questione “all’inglese”: giusto o sbagliato, questo è il mio Paese.