L'unità secondo Bianciardi

Creato il 11 maggio 2011 da Alboino

Una citazione di rispetto merita Luciano Bianciardi per quanto prodotto in merito al dibattito culturale nel nostro Paese riguardo l’unità d’Italia. Scrittore di elevato livello, cultore della materia risorgimentale, si rifaceva all’idea gramsciana di una “rivoluzione senza rivoluzione” e da ex sbandato dell’8 settembre che ha preso parte alla Liberazione, riconosce dopo la fisiologica esultanza che ancora una volta si è compiuta in Italia una rivoluzione senza rivoluzione. Bianciardi recupera nella sua opera narrativa seppur sotto mentite spoglie, l’iconografia di Garibaldi e l’epica dei mille e ci lascia una quantità di contributi sull’argomento che si richiamano tutti alla lezione di Gramsci secondo cui l’Unità si è realizzata nei modi della “guerra regia” e della annessione piemontese grazie al talento del “diabolico” Cavour, mentre Garibaldi, genio della strategia militare, è presto andato fuorigioco sia per l’immaturità o l’impotenza politica del Partito d’Azione, sia per la sostanziale estraneità delle plebi meridionali. Da ciò Bianciardi evince un “miracolo” unitario ma un miracolo equivoco portatore di mali divenuti cronici: “guerra dei briganti, convinzione radicata nel popolo che lo stato sia oppressore, un’astratta entità ostile che si fa viva solo per esigere le tasse e mandarci a fare la guerra, analfabetismo, sottile e perfido razzismo interno, per cui i terroni sarebbero cittadini di seconda categoria, la mafia mai sconfitta. Tutto ciò non sapremo spiegarcelo, se non ragionando che l’Unità fu fatta male, contro Garibaldi”. E da sempre l’anarchico Bianciardi mai aveva perdonato al nostro Paese il sacrificio di Garibaldi e ancor più per tutta l’intera sua esistenza non aveva mai voluto accettare l’adagio tipico del nostro popolo che chi nasce incendiario muore pompiere.

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