L'uomo calvo (ed altri casi umani)

Da Bartel
Prima di rientrare a casa mi fermai ad una cabina telefonica senza porta e chiamai mia madre con un residuo di carta telefonica. Allora il cellulare era un lusso per pochi e a me non piaceva nemmeno. Come l'uva alla volpe.  Mi rispose dopo cinque squilli, con la sua voce stanca e lontana, la stessa che dovevava avermi cantato ninnananne che non ricordavo, la stessa voce che doveva aver detto "ti amo" a mio padre almeno una volta.
"Ciao Ma', sono io!"
"Ciao amore...come è andata?".
La sua voce si era riempita di vita, le dovevo mancare, le mancavano due braccia e due occhi in più, le mancava un pezzo della sua carne, forse. Sentivo la sua solitudine  e mi straziava.
"Bene Ma', devo tornare per un altro colloquio tra tre giorni...è una selezione lunga..."
Mentivo e prendevo tempo, mentivo per paura. Avevo paura di deluderla ancora, anche se in quel momento sentivo crescere dentro di me rabbia e determinazione. Decisi che avrei difeso quel posto piovuto dal cielo con tutte le forze, decisi che l'avrei fatto per loro, per quelle anime lontane e sofferenti. Questa idea mi tolse il fiato, sentii le gambe cedere, forse ero umano dopo tutto, non completamente assuefatto al mondo. Reagivo, ero forse  ancora vivo.
"Ah, va bene amore... non ti preoccupare...sento che questa è la volta buona per te...abbi fiducia e non ti abbattere!"
Il solito ammonimento a non mollare. Se io non avessi mollato anche loro avrebbero resistito. Ero in qualche modo responsabile. Una parte di me avrebbe voluto urlarle che ero stato assunto, ma la prudenza, matrigna puttana di ogni fallito, mi tappò la bocca con le sue belle mani curate e pulite. Era troppo rischioso darle una tale notizia in quella situazione. Tanto, magari, domani sarebbe terminato tutto, mi sarei ritrovato di nuovo in strada a cercare lavoro.
"Tranquilla Ma', non mollo...Pa' come sta?"
"Dorme...non ti preoccupare, glielo dico che hai chiamato."
"Va bene Mà, ciao"
"Ciao, Amore".
Riattaccai la cornetta e mi poggiai al vetro sporco della cabina. Nella parete di fronte un piccolo manifesto di una agenzia di viaggi  prometteva prezzi fanatastici per una vacanza invernale in Egitto. Pensai alle piramidi. Mi sarebbe piaciuto visitarle. Mi sarebbe piaciuto fare molte cose.
Passò davanti alla cabina una ragazza bruna, avrà avuto ventitre, forse venticinque anni, giovane comunque, giovane  e bella con lunghi capelli rossi che ballavano sul collo del suo cappottino chiaro che arrivava sino agli stivali neri. Qualcuno ululò dentro di me, la vita mi chiamava. Usciì dalla cabina e la vidi entrare in un portone poco distante e sparire tra le ombre dell'androne. Mi fermai e contai sino a trenta. Magari sarebbe tornata indietro. Non lo fece. Guardai il numero civico: 97. Come i miei giorni di astinenza dalla scrittura. A quei tempi scrivevo ogni giorno. Decisi di scrivere qualcosa su quella ombra di felicità che mi era passata davanti e che forse un giorno avrei rivisto uscire da quel portone e venirmi incontro preceduta dal suo sorriso. Decisi che mi sentivo troppo solo. Decisi di smettre di pensare e di tornare a casa. Mi sentivo come sballottato sulle montagne russe di sentimenti contastanti, felice e rassegnato allo stesso tempo. Arrivai a casa e infilai le chiavi nella toppa della porta. Entrai e trovai Bud e Dave seduti al tavolo a giocare a carte. Non era mai capitato prima che li vedessi cosi rilassati ed affacendati, di solito mi apparivano all'improvviso mentre scrivevo. Ne fui un pò spaventato e allo stesso tempo fui felice che qualcuno fosse a casa ad aspettarmi.
"Ciao ragazzi...non crederete a cosa stò per raccontarvi..."
Si voltarono leggermente verso di me, poi si guardarono e sorrisero.
"Che c'è?" chiesi perplesso.
Dave mi rispose aggiunstandosi le carte in mano. "Niente... ma scommetto che ti hanno assunto...vero?"
Lo guardai. Stavo per chiedergli come diavolo facesse a saperlo, ma mi accorsi di Bud. Rideva, rideva e cercava di trattenersi mettendosi una mano davanti alla bocca. Era rosso in viso, quasi non respirava a causa di quella risata soffocata.
Non si trattenne più e la sua risata contaggiò anche Dave. ridevano piegati in due , le carte cadderò per terra. "Che faccia di cazzo, Bartel...Dio che faccia di cazzo hai!!!" riusci a dirmi Bud.
Ridevano e piangevano allo stesso tempo. Allora capiì. Erano stati loro. Si calmarono e mi raccontarono. Mi avevano seguito e fatto una visita al Direttore Generale spiegandogli che era suo interesse assumere uno come me, ed assumermi al volo. Dovevo ammettere che erano stati convincenti. Mi sedetti per terra e ci guardammo a lungo. Loro mi sorridevano benigi. Non so come all'improvviso glielo dissi.
"Grazie."

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