23 settembre 1910, ore 14,15, lo schianto. Aveva 23 anni. Era nato in Francia, ma il suo nome Geo Chavez, lascia trasparire origini sudamericane. Praticava molti sport ma era affascinato dalle sfide impossibili. Durante i primi anni del secolo scorso agli uomini non bastava più il dominio della terra e dell’acqua, volevano primeggiare anche nell’aria. Per questo motivo in molte parti del mondo vengono organizzate trasvolate, tornei e concorsi con l’unico intento di raggiungere una meta, un obiettivo con le “macchine volanti”. Ad uno di questi concorsi viene invitato Chavez: si tratta di trasvolare le Alpi dalla Svizzera all’Italia, da Briga a Milano passando per Domodossola e Stresa. Molto inchiostro è stato versato su questo avvenimento nell’anno del centenario. Ho letto molto, mi sono informato; molta cronaca, qualche entusiasmo; non ho trovato il suo punto di vista. Nessuno ha provato ad indossare i suoi panni, a pilotare il suo aereo mentre sorvola le Alpi, le grandi montagne.
Briga è una città Svizzera poco al di là del confine Italiano. Da li parte poco dopo l’ora del pranzo, che non deve essere stato facile. Stai per fare la storia, stai per compiere l’impresa, anche se hai 23 anni lo stomaco non risponde, non ti aiuta; non riesci a mangiare. Devi controllare il tuo “velivolo” fatto di legno e tela, devi assicurarti che regga l’altezza e le raffiche di vento, che da queste parti sono di casa. E poi le montagne. Sono maestose e belle, ma fanno paura. Incutono timore. Si parte. Molta gente lo attende a Domodossola, dove deve fermarsi a fare rifornimento, ma molta di più a Milano dove si dovrebbe concludere il volo.
Lentamente si sale verso il passo del Sempione; quante volte lo avrà visitato con la macchina rimanendo affascinato dalla sagoma del monte Leone? Di questo ci rimane traccia negli articoli del “Corriere della Sera” che seguì molto attentamente l’avventura. Il passo è alle spalle, si comincia la discesa verso il campo di atterraggio. Non è facile le montagne ti circondano; perdi il senso dello spazio e forse anche quello del tempo. Non puoi goderti il panorama, devi pilotare il velivolo attraverso i venti. Proprio per questo motivo molti illustri dell’epoca si innamorano del volo; da Kafka a Delagrange sino a D’Annunzio che si inventa, con un neologismo, il nome per l’apparecchio, appunto velivolo. La cronaca ci ricorda che dovette superare alcune turbolenze. Siamo vicini al punto di rifornimento, le Alpi alle spalle la pianura di fronte. Si deve solo atterrare. Sono passati circa 45 minuti dalla partenza di Briga; per l’uomo sono una frazione di vita, per Chavez sono stati la vita. Mancano pochi metri quando il velivolo cede; oggi si direbbe cedimento strutturale. Si spezza un’ala. Si spezza il sogno di un ragazzo di 23 anni di conquistare i cieli.