Era il dicembre del ’46 o forse gennaio del ’47, la guerra era terminata, la gente non moriva più ma stentava a vivere. Fu tra Natale e Capodanno, o fra questo e l’Epifania, che nella piazza del paese si materializzò un uomo con un vestito liso, una camicia bianca col colletto usurato, tenuta chiusa al collo da uno straccio di cravatta. Niente di maestoso, ma era pur sempre un “signore” in giacca e cravatta. Ciò che di lui colpì l’immaginazione dei paesani non fu il vestito bensì una enorme valigia che aveva addossato al muro della scuola sopra uno dei sassi sui quali soleva seder la gente a meditare da sola o a polemizzare in compagnia. Stette là, vicino al suo bagaglio, a rispondere con cenni della testa ai saluti dei paesani che passavano, arrotolandosi con maestria magre sigarette, l’una dopo l’altra.Qualcuno pensò che avesse qualcosa da vendere e rideva in cuor suo perché aveva sbagliato piazza; altri che era venuto per comprare dieci uova e tre galline o due misure di frumento e storceva la bocca su uno che si era messo in piazza per acquistare al mercato nero; ci fu chi pensò che stesse cercando alloggio quando invece gli sfollati della città erano tornati alle loro case. A me, che ero piccolo e l’avevo adocchiato tra le sbarre di legno del cancello di mio nonno, parve che aspettasse il pubblico per cominciare lo spettacolo. Mi faceva meraviglia più che l’uomo la sua valigia, che debordava dal sasso su cui era posata e anche a distanza si scorgeva quanto fosse gonfia e stipata. Gli uomini cominciarono a far gruppo in mezzo alla piazza parlando sommessamente e sbirciando di sguincio il forestiero. Mio nonno era andato ad Ales col carro a portare quattro damigiane d’acqua dal rubinetto. Era l’acqua da bere: ci sarei andato anch’io se non fosse stata una giornata così così, col cielo che minacciava pioggia. Mia madre mi richiamò dentro, per stare al caldo vicino al fuoco. Lasciai malvolentieri le stecche di legno del cancello, intristendo dentro di me perché mi sarei perso lo spettacolo.Quando nannai rientrò col carro, mi feci sul cancello ma la piazza era deserta e silenziosa. Ancora adesso non so con precisione per quale motivo quel “signore” fosse venuto nel nostro villaggio, quale mercato aveva intenzione di mettere in atto nei confronti dei paesani, e soprattutto cosa contenesse la sua valigia enorme. Ciò desta in me un leggero stato d’ansia, allo stesso modo di un altro signore in giacca e cravatta che reca con sé una simbolica valigia strapiena. Questo signore si chiama Mario Monti ed è chiaro che solo un bambino può immaginarsi che sia venuto per divertirci.
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