L'uomo d'Acciaio

Creato il 22 novembre 2013 da Mattia Allegrucci @Mattia_Alle
Con la nuova ondata di supereroi che negli ultimi 15 anni ha letteralmente invaso le sale cinematografiche, non poteva non tornare sul grande schermo l'archetipo dell'eroe in calzamaglia, il punto di riferimento per eccellenza, l'incarnazione dei buoni valori e del sacrificio, in una parola: Superman. Peccato che a scrivere il reboot delle avventure del difensore di Metropolis sia il temibile David S. Goyer, il vero villain di questo film (perché, diciamocelo, Zod non era poi così malvagio, voleva solo ripristinare il suo amato pianeta, era un tradizionalista), che con la sua spietata penna e la sua totale incapacità di stendere una sceneggiatura che possa essere chiamata con questo nome inserisce dialoghi discontinui e momenti assolutamente nonsense che trasformano il film in una accozzaglia di situazioni e in una storia di vendetta. Ridicolo, poi, il tentativo di trasformare il personaggio interpretato da Henry Cavill in una metafora del vangelico Gesù Cristo, il che rende tutto ancor più incredibile, come incredibile è il modo in cui è stato sprecato un cast di tutto rispetto comprendente il premuroso Kevin Costner, il protettivo Russell Crowe e il vendicativo Michael Shannon (ma anche la controparte femminile del cast, rappresentata da Diane Lane), dove nessuno di essi ha fondamentalmente un grande senso morale o un messaggio particolare da trasmettere (a parte Zod, che è un tradizionalista, e forse Jor-El, ma la parte più interessante viene liquidata in una decina di minuti, facendo posto all'invulnerabile superuomo che cita il termine coniato da Nietzche ma che però, in questo film, legge un libro di Platone). All'interno della troupe non può mancare l'immenso nome di Hans Zimmer che, dopo aver dato voce ai tamburi nella trilogia di Batman di Christopher Nolan (qui nelle vesti di produttore), torna sulle percussioni per comporre un nuovo tema per Superman, dimenticandosi volutamente del meraviglioso lavoro svolto tanti anni fa da John Williams per tentare strade più originali e nuove, mai sentite, riproponendo ancora una volta i suoi soliti, epici, ormai divenuti insopportabili, tamburi. Ah, non ho ancora citato il regista, colui che ha avuto in mano le redini di questo ambizioso e promettente progetto, Zack Snyder. Ma poco importa, visto che alla fine della giostra la pellicola potrebbe essere firmata da qualunque John Doe che si professa regista e noi spettatori non ce ne accorgeremmo, o forse sì; magari con un altro capitano meno ambizioso, meno spocchioso, più calmo e meno frenetico questa nave non avrebbe sofferto dell'angosciante e dispersivo senso di realismo proposto dalla più fastidiosa telecamera a spalla del 2013 e da zoomate quasi amatoriali (ma volutamente, eh, perché il film è realistico). Come dite? Una recensione poco seria e anche un pochetto altezzosa rispetto ai miei soliti standard? Beh, ho voluto rendere giustizia a L'uomo d'acciaio e giocare allo stesso gioco del film: prenderlo in giro senza che se ne accorgesse, così come ha fatto lui con il pubblico. Se non siete rimasti soddisfatti da quello che avete appena letto il mio consiglio è di ascoltare ciò che dicono quegli spettatori che sono riusciti a divertirsi con questo film: "se preso per quello che è non è così male". Ecco, voi prendete queste parole per quello che sono, alla fine non vi sembreranno poi così male.


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