Sappiamo che dentro ciascuno di noi c'è un po' del DNA dell'uomo di Neanderthal: è scientificamente provato che vi sono stati accoppiamenti ed incroci tra la specie homo sapiens e l'uomo di Neanderthal circa 50.000 anni fa e pertanto l'uomo moderno porta ancora piccole percentuali del patrimonio genetico di questi progenitori.
Solo gli africani di solito non posseggono DNA del Neanderthal, perché gli incontri e gli incroci sono avvenuti dopo che l'homo sapiens ha lasciato l'Africa, mentre gli europei e gli asiatici hanno nel loro patrimonio genetico mediamente una quota di 1.5% di DNA proveniente dall'uomo di Neanderthal.
La cosa è risaputa da tempo, ma di recente è stato studiato in che modo tale quota genetica del possa influire sulla nostra salute.
Il lavoro, svolto da Ann Gibbons, è stato pubblicato il 12 febbraio su Pnas: si tratta di uno studio retrospettivo che ha riguardato le cartelle cliniche elettroniche di 28.416 adulti originari dell'Europa e è stato centrato sulla presenza percentuale di genomi del Neanderthal in rapporto al rischio di depressione, formazione di coaguli, dermatiti ed altri disturbi.
Le varianti genetiche prese in considerazione non necessariamente hanno effetti esclusivamente negativi sulla salute: talvolta possono prevenire e proteggere da alcune malattie e talaltra invece rappresentarne un fattore di rischio: la presenza di geni arcaici ad esempio stimola la risposta immunitaria, ma in altri casi essi favoriscono caratteristiche utili nella vita preistorica, ma dannose all'uomo moderno.
In particolare il gruppo di ricerca ha individuato circa 12 geni dei Neanderthal che rappresentano un effettivo fattore di rischio per alcune malattie moderne, uno di questi ad esempio comporta una maggiore velocità della coagulazione sanguigna: una caratteristica del genere poteva essere utile nella vita preistorica, quando essere feriti era un'evenienza ordinaria e le donne partorivano senza assistenza alcuna e potevano presentare emorragie dopo il parto, viceversa oggi la medesima caratteristica rappresenta un fattore di rischio per ischemie, ictus e diversi tipi di trombosi, praticamente sconosciuti nella preistoria. quando la gran parte delle persone morivano in giovane età.
I ricercatori inoltre hanno individuato anche alcuni disturbi neurologici, tra cui la depressione, attivata da alterazioni del ritmo sonno-veglia, anch'esse collegate a specifici genomi di Neanderthal ed infine alterazioni cutanee precancerose , come le cheratosi attinica.
Perfino la dipendenza da nicotina sembra essere associata ad uno specifico genoma arcaico ed i geni immunostimolanti al giorno d'oggi potrebbero risultare controproducenti e favorire allergie e risposte autoimmunitarie.