Il dipinto è un tessuto. Nel senso più autentico del termine: intessuto. Una trama e un ordito, un recto e un verso. Nei dipinti di Constantin Migliorini il corpo è intersecato dalla psiche, la materia è filigranata dall’anima e dai suoi fantasmi. L’immagine antropomorfa si sdoppia e si moltiplica in una sala degli specchi zoomorfa. La figurazione umana non è direttamente stravolta e complicata, come in tanta figurazione contemporanea, alla Bacon per intenderci; no, qui le convenzioni della percezione visiva sono all’apparenza mantenute. L’effetto di profondità viene ottenuto non scavando entro la materia corporea, bucandola, torturandola, applicandole uno di quegli infiniti sistemi sadici di supplizio a cui l’arte ci ha abituati, ma facendo della superficie lamierata del dipinto uno specchio che moltiplica e insieme deforma, che spalanca la superficie corporea sulla dimensione psichica. L’anima come effetto di alleggerimento del corpo. La materia pittorica, il pigmento, incrosta e indurisce il corpo, mentre linee sottili come fili (ancora l’immagine del tessuto) lo sciolgono, lo smaterializzano quasi, dandogli quella inconsistenza che è originariamente propria dell’anima, quella del respiro. Terra e aria, colore e linea, pesantezza e leggerezza.
Guardo affascinato i dipinti di Constantin Migliorini, quasi una galleria di antenati in senso darwiniano, di archetipi animali che l’uomo si porta dentro e dietro, leggibili fra le righe, le pieghe, le rughe dei volti e delle schiene. Li guardo, ma non ne sono inquietato. Capisco perché: tanto sfoggio di animalità non nasconde la tragedia di una inconscia, freudiana, incontrollabile bestialità. Non a Darwin mi rimanda l’arte di Constantin, ma alle fiabe. Si tratta di un immaginario poetico nel quale lupi maiali e diavoletti provengono dalle eteree e fiabesche regioni degli orchi dell’infanzia. È un’infanzia che deve più alla fantasia dei fratelli Grimm che al polimorfismo perverso del dottor Freud. Colgo qui qualcosa di piacevolmente gioioso, di leggermente scherzoso, perché sono in presenza della leggerezza dei fantasmi. E che cos’è un fantasma se non la proiezione eterea di una materia che, in un processo chimico e psicanalitico di sublimazione, diventa aria? Ecco chi è Constantin Migliorini. Finalmente ne ho la rivelazione: un acchiappafantasmi, un ghostbuster. Quante operazioni si possono compiere con la pittura: persino catturare i fantasmi. Le figurine zoomorfe, allora, ci svelano biografie fiabesche, sono diari di corpi che ci narrano di quel fanciullino (sempre lui) che secondo Platone parla dentro di noi, facendo capolino fra le rughe dei nostri volti, nei lampi dei nostri occhi, nelle pieghe delle nostre bocche.
Prof. Ermanno Morosi